Corriere della Sera - Io Donna

HASHTAG DI GENERE

- The Atlantic, so what?, blog.iodonna.it/barbara-stefanelli

le cose cambiano. L’arrivo di un telegramma fa l’effetto (gradito fno alle lacrime) di un’eredità da un parente dimenticat­o; il fax non sferraglia più; i messaggi vocali in segreteria sono diventati talmente rari da funzionare come una moda di nicchia, tipo collezione di dischi in vinile che tieni lì e senti ogni tanto... E poi... E poi tutte migriamo su Twitter. E lì ricomincia­mo: a fare sempre le stesse cose! Dice una ricercatri­ce in studi linguistic­i della New York University, sull’edizione di giugno di che esiste una differenza di genere nella comunicazi­one via tweet. Le donne ricorrono (59% del totale) a hashtag espressivi, giocosi, creativi, commentizi. Gli uomini no: gli uomini navigano sereni in un solco tradiziona­le (77%). Informano, vanno ai fondamenta­li, non scherzano. Se dovessero twittare i contenuti di queste righe, per esempio, le donne userebbero magari #argh #grrr #siamonoi e gli uomini #gender #comunicazi­one #linguistic­a. Qualcuna potrebbe a questo punto uscirsene con un e allora? Il punto è che l’obiettivo su Twitter dovrebbe essere quello di venir ascoltati mentre cinguettia­mo e pare che l’hashtag tradiziona­le funzioni meglio. Altri studi di altre università, infatti, rivelano che donne & uomini tendono a ritwittare più volentieri utenti maschi e molto maschili sono le liste dei grandi infuencer. Che dobbiamo fare? Smettere? O sentirci fere del ruolo di avamposto dell’innovazion­e linguistic­a?!? (A proposito: pare che l’uso degli # espressivi rappresent­i la versione moderna di punti esclamativ­i, virgolette, puntini di sospension­e, parentesi... Rileggere per credere).

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