Corriere della Sera - Io Donna

Chad McQueen. Vi racconto la vita spericolat­a di mio padre

Le donne. Le corse. Il cinema. C’è tutto questo nel documentar­io che Chad, il fglio del leggendari­o Steve McQueen, ha girato per ricordarlo. In velocità

- di Anna Maria Speroni

Chad mcqueen porta ancora addosso i segni dell’incidente del 2006 alla 24 ore di Daytona. Non toglie mai gli occhiali scuri, si muove lentamente, ha cicatrici su braccia e polpacci: la parte a vista di fratture (alle costole, a una gamba) e di lesioni a due vertebre. Da Karate Kid in poi ha lavorato in 26 flm ma è soprattutt­o la passione per le auto da corsa che ha ereditato da suo padre. Quando parla di lui si sente ancora un affetto enorme, come se fosse scomparso ieri. Invece il 7 novembre saranno passati 35 anni, ricordati da

un documentar­io che uscirà al cinema due giorni prima: Steve McQueen. Una

vita spericolat­a. Prodotto con la collaboraz­ione di Chad, è la storia di Le

24 Ore di Le Mans, flm che Steve McQueen, l’attore più cool degli anni ’60, aveva voluto assolutame­nte girare e in parte fnanziare. Ambientato durante la 24 ore del 1970 metteva insieme un budget altissimo, scelte faraoniche come l’afftto del circuito francese per tre mesi e di un castello per alloggiare la troupe, un realismo ai limiti della sicurezza nelle riprese in pista, una lite insanabile tra John Sturges, il regista dei Magnifci sette (poi sostituito da Lee H. Katzin) e McQueen: «Sono troppo vecchio e troppo ricco per sopportare questa m...» (Sturges); «Mi hai pugnalato alla schiena, non ti parlerò mai più» (McQueen). Fu un disastro, in sala. E anche la critica lo accolse male. McQueen rischiò la bancarotta. Ma oggi è considerat­o uno dei flm sul mondo delle corse più adrenalini­ci mai realizzati. Rievocarne la storia è anche una scusa per raccontare, con interviste di oggi e flmati di allora, un’icona del Novecento. «Il mio documentar­io è stato presentata­o al Festival di Cannes e per me è un po’ una vendetta » racconta Chad. «Quando uscì, mio

padre fu messo in croce. Invece la sua visione era giusta, con quel realismo meticoloso: aveva voluto girare tutto in velocità, con le cineprese montate su una delle Porsche in gara». Che cosa ricorda di quei tre mesi con suo padre a Le Mans?

Stare in mezzo a tutte quelle auto era emozionant­e. Una volta convinsi papà a farmene guidare una. Sulle sue ginocchia, su quel circuito, si immagina? Ingranai fino alla terza... Ci sono ritornato l’anno scorso per la prima volta. Avevo dieci anni, nel 1970: solo nel 1999, quando uscì French Kiss with Death, il libro di Michael Keyser e Jonathan Williams (ex piloti, ndr) scoprii davvero ogni dettaglio del disastro che il flm fu per papà.

Ha scoperto altro che non sapeva?

Non mi ero reso conto completame­nte di quanto fosse infedele. Sapevo che era un bugiardo, ma tutte quelle ragazze... Io e mia sorella eravamo al riparo dai problemi dei miei genitori, la vita flava via liscia per noi.

Loro invece si separarono durante

l’estate di Le Mans. Com’è stata la relazione con suo padre, dopo? Mi chiese: con chi vuoi stare, con me o con la mamma? Gli risposi: sto con l’azionista, papà, scelgo te. Sono rimasto con lui fno alla sua morte, in Messico. Si diceva che avesse un brutto carattere.

Sì, ma sotto la pelle c’era molto di più. A volte perdeva la pazienza ma era leale; le parole che mi ripeteva più spesso erano onestà e integrità. Aveva avuto un’infanzia complicata: non ha mai conosciuto suo padre, sua madre era un’alcolizzat­a che lo ha abbandonat­o, è cresciuto in un istituto. Di questa infanzia infelice abbiamo benifciato io e mia sorella: da quando sono nato a quando lui è morto sono stato su tutti i suoi set; in ogni location cercava una scuola, siamo stati tra i banchi di ogni parte del mondo.

Vita da favola per un ragazzino.

Abbastanza. Mi ricordo tutte quelle Ferrari nel giardino di casa, e James Coburn, Charles Bronson, George Harrison, Ringo Starr...

Quante auto ha?

Non saprei esattament­e. Mi piacciono le vecchie Porsche: mi diverto a pulirle, lucidarle, aggiustarl­e; e le moto. Ho cominciato con quelle, ho partecipat­o a gare in tutto il mondo.

Aveva paura, quando correva?

Mai. Però la cosa triste è che, dopo l’incidente, al volante sono diventato una vecchia signora. Sono pieno di metallo (indica tutto il corpo,

ndr), ho quattordic­i viti, non posso permetterm­i errori. Me la prendo comoda su Mulholland Drive (una famosa strada di Los Angeles, ndr) con la mia Porsche. Parla solo di Porsche. Non le piacciono le Ferrari?

Certo! Per me è come parlare della Chiesa... Sono stato a vedere la fabbrica un paio d’anni fa. Luca di Montezemol­o mi ha fatto da guida dappertutt­o. A un certo punto suo padre stava pensando di lasciare il cinema per dedicarsi alle corse a tempo pieno. Amava più le auto del suo lavoro? Amava tantissimo anche quello. Era felice sul set. Sembrava che non facesse nulla davanti alla cinepresa, ma il risultato era fantastico. Per il cinema era un mito già allora, per lei bambino che cos’era?

Per me restava soprattutt­o mio padre. Mi rendevo conto di quel che era solo in parte.

Vede qualche attore che gli somiglia?

Io no. Lei ne vede?

Dopo l’incidente, al volante sono diventato una vecchia signora. Sono pieno di metallo, ho quattordic­i viti, non posso permetterm­i errori

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Sopra, Steve McQueen. Attore antieroe per eccellenza, scomparso 35 anni fa, adorava le auto da corsa. Come suo fglioChad (a sinistra), 54 anni, sopravviss­uto a un incidente.
 ??  ?? Steve McQueen con Chad (nel 1971) nel deserto del Mojave, in California.
Steve McQueen con Chad (nel 1971) nel deserto del Mojave, in California.

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