Corriere della Sera - Io Donna
LE (VERE) RAGIONI DEI CONFLITTI
spiacevolissimo scambio, qualche giorno fa, con un giovane, sprezzante dirigente politico milanese. Pazienza, mi dico. Fai conto che sia solo un ragazzo scostumato, un altro della neo-razza “maleducati di talento”. Mentre calano i livelli dell’incavolatura mi sale un altro pensiero: «Strano, dico. Sulle stesse questioni solo un annetto fa ci saremmo trovati d’accordo». Mi pare che sia lui a essersi spostato, un passo alla volta. Io sono lì dov’ero. Ma lasciamo andare. Il vero pensiero è un altro, e riguarda il partito preso (in senso non solo fgurato). Cioè quanto siamo disposti a lottare per difendere posizioni alle quali non aderiamo nel profondo del cuore, o magari non ci rappresentano affatto. Ma per ragioni di opportunità o peggio, di opportunismo-, per disciplina, per motivi strategici e via dicendo siamo costretti a tenerle. Parlo anche per me, intendiamoci. Parlo un po’ per tutti. Ed ecco uno sconcertante esercizio talmudico, appreso da Alex Langer: divisi in coppie e scelto un qualunque argomento, il soggetto A deve sostenere la posizione A e il soggetto B la posizione B. Dopo qualche minuto, lo switch: il soggetto A deve sostenere la posizione B, e il soggetto B la posizione A. Provatelo: lotterete caparbiamente anche per difendere la posizione che non è la vostra. E allora, per che cosa si lotta? Per difendere un principio, o per affermare se stessi? Quanto pesa l’ego, e quanto l’oggetto del contendere? Quanti confitti, quante guerre sarebbero evitabili, smascherandone le vere ragioni? E basta il rispetto, che è molto, per un dialogo autentico, o serve compassione?