Corriere della Sera - Io Donna

L’ESPERANTO DEI NEONATI

- Lantic, The At- blog.iodonna.it/barbara-stefanelli

come si dice mamma in inglese, ucraino, flippino o in una delle lingue degli indiani d’America? E come si dice papà in ebraico, francese, norvegese, fjiano? I fgli di tutto il mondo si abbandonan­o a parole straordina­riamente simili: mama o nana, e poi papa, baba, dada, tata. Non è (solo) questione di ceppi indoeurope­i e rotazioni consonanti­che, la verità potrebbe essere quella offerta dal linguista Roman Jakobson: il primo suono che un bambino riesce ad articolare è una ah perché non implica alcun movimento della lingua o delle labbra; il secondo, sperimenta­ndo un po’ con l’apparato fonetico, diventa una mmm perché è l’effetto di labbra chiuse come si fa per succhiare; il terzo è un passaggio dalle labbra chiuse alle labbra serrate e poi improvvisa­mente aperte per lasciare uscire un soffo d’aria che fa l’effetto di p o b, versione sorda o sonora, papà o babbo, se non d o t, in caso di coinvolgim­ento delle dentali. Processi che si ripetono da millenni in tutte le comunità e famiglie e che sono rimasti fedeli alle origini: è bello immaginare che, come scrive John McWhorter su

i primi umani dissero mama e dada per identifcar­e i propri genitori e da allora quelle poche sillabe ci sono rimaste nel cuore, per sempre. Troppo bello per essere vero? Forse. Ma tra coincidenz­e e fonetica, mi chiedo ancora le ragioni di quel papàmamma, una parola sola, che mia fglia scelse piccolissi­ma per rivolgersi a noi, i genitori, incurante delle differenze di ruolo. Non ho mai capito se fosse più signifcati­vo che quel suo sciolto neologismo cominciass­e per papa o fnisse in mama.

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