Corriere della Sera - Io Donna
L’ESPERANTO DEI NEONATI
come si dice mamma in inglese, ucraino, flippino o in una delle lingue degli indiani d’America? E come si dice papà in ebraico, francese, norvegese, fjiano? I fgli di tutto il mondo si abbandonano a parole straordinariamente simili: mama o nana, e poi papa, baba, dada, tata. Non è (solo) questione di ceppi indoeuropei e rotazioni consonantiche, la verità potrebbe essere quella offerta dal linguista Roman Jakobson: il primo suono che un bambino riesce ad articolare è una ah perché non implica alcun movimento della lingua o delle labbra; il secondo, sperimentando un po’ con l’apparato fonetico, diventa una mmm perché è l’effetto di labbra chiuse come si fa per succhiare; il terzo è un passaggio dalle labbra chiuse alle labbra serrate e poi improvvisamente aperte per lasciare uscire un soffo d’aria che fa l’effetto di p o b, versione sorda o sonora, papà o babbo, se non d o t, in caso di coinvolgimento delle dentali. Processi che si ripetono da millenni in tutte le comunità e famiglie e che sono rimasti fedeli alle origini: è bello immaginare che, come scrive John McWhorter su
i primi umani dissero mama e dada per identifcare i propri genitori e da allora quelle poche sillabe ci sono rimaste nel cuore, per sempre. Troppo bello per essere vero? Forse. Ma tra coincidenze e fonetica, mi chiedo ancora le ragioni di quel papàmamma, una parola sola, che mia fglia scelse piccolissima per rivolgersi a noi, i genitori, incurante delle differenze di ruolo. Non ho mai capito se fosse più signifcativo che quel suo sciolto neologismo cominciasse per papa o fnisse in mama.