Corriere della Sera - Io Donna

IN MORTE DI VALERIA

- Acazzullo@rcs.it blog.iodonna.it/aldo-cazzullo

quando a parigi tentavo come molti colleghi di ricostruir­e le storie delle vittime, e gli amici al telefono mi hanno detto che forse tra loro c’era anche una ragazza italiana, la mia reazione è stata un po’ infastidit­a: il solito provincial­ismo, su 130 morti in un weekend a Parigi è un miracolo che ci sia un italiano solo. Quanto mi sbagliavo. La storia di Valeria Solesin è diventata importante per la sensibilit­à dei lettori. E la sua figura è destinata a restare. Non rispondo neppure alla volgarità di chi obietta: «Dicono che era una ragazza meraviglio­sa, ma se fosse stata una stronza?». Mi interessa di più l’obiezione di chi dice: «Non facciamone un’eroina, né un simbolo; era sempliceme­nte una ragazza che si è trovata nel posto sbagliato». Giusto. Non amo la parola eroe, o eroina. Non si addice neppure alle donne della Resistenza: non erano votate al martirio, sarebbero rimaste volentieri in pace a casa loro; però fecero la scelta più difficile, pagando con la vita. A Valeria la scelta non è stata data. Era in effetti una ragazza che si è trovata nel posto sbagliato. E non intendeva certo diventare simbolo di alcunché. Questo non impedisce però che in qualche modo lo sia diventata. Simbolo di una generazion­e con cui l’Italia chiusa e bloccata di questi anni è stata molto avara. Ma anche di una generazion­e aperta sul mondo, curiosa, piena di energia. Una generazion­e che non è più la mia e non è ancora quella dei miei figli, ma con la quale in quanto italiani siamo tutti in debito. Il padre al funerale ha rivolto un pensiero “alle tante Valeria e ai tanti Andrea”, il fidanzato, “che continuano a studiare, a lavorare, a cambiare le cose”. Non c’è altro da aggiungere.

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