Corriere della Sera - Io Donna
QUANDO DICI GUERRA
nelle ultime settimane ho scritto di guerra, in questa colonna, e anche dell’idea di “vincere”: captavo umori, a quanto pare. Ora cerco parole per tenere il filo. Ne trovo in rivista femminista, un numero del ’91, ai tempi della guerra del Golfo: «La guerra ci ha prese alla sprovvista (non sapevamo che esiste?) e l’agio ha fatto ploff, anche nell’affermazione di estraneità» (Daniela Pellegrini). «Gli appelli alla mobilitazione contro la guerra mi scivolano addosso, da tempo sono “mobilitata” (…). Una madre a Bagdad può immaginare che i miei pensieri stanno cercando lei? Può distinguermi tra i nemici?» (Luciana Percovich). «Non mi commuovono patetiche facce di madri piangenti per guerre che contribuiscono a determinare con i loro silenzi, le loro abdicazioni, il loro continuo fare ordine dove altri fanno disordine» (Nadia Riva). E poi le parole delle Virginia Woolf: non si tratta «di incitare i fratelli a combattere, e neppure di cercare di dissuaderli, bensì di mantenere un atteggiamento di totale indifferenza» (da E Simone Weil: «La guerra è soltanto il prolungamento di quell’altra guerra che si chiama concorrenza (…). Tutta la vita economica contemporanea è orientata verso una guerra futura» (da Ancora Weil: «Non amo la guerra; ma ciò che mi ha sempre fatto più orrore nella guerra è la situazione di quelli che si trovano nelle retrovie. Quando ho capito che, malgrado gli sforzi, non potevo fare a meno di partecipare moralmente (…) ho preso il treno per Barcellona con l’intenzione di arruolarmi» (da