Corriere della Sera - Io Donna

ISOLAMENTO FORZATO Immaginare un futuro diverso per chi sta in carcere

- Amori. Vini, di Camilla Baresani blog.iodonna.it/camilla-baresani

Mi è capitato più volte di entrare in una prigione per parlare di libri e di scrittura con i detenuti. L’esperienza più intensa l’ho provata nella sezione femminile di “alta sicurezza” del carcere di Vigevano, dove le detenute hanno letto le storie che scrivo in questa rubrica, e che sono raccolte nel libro

Sono donne dalle fisionomie così lontane dalla teoria lombrosian­a sul delinquent­e con la faccia sghemba, che viene spontaneo chiedersi cosa mai possano aver fatto di male. Possibile che ragazze così carine, madri di famiglia dall’aspetto dolente e anziane dall’aria protettiva abbiano commesso reati gravi? Le donne con cui ho parlato sono sorelle, figlie, madri, mogli di camorristi, ’ndrangheti­sti, mafiosi, o trafficant­i di droga. Li hanno protetti, non hanno sentito o visto. Alcune hanno contribuit­o ai crimini famigliari. Nella maggior parte dei casi la loro vita ha iniziato a deragliare già nella culla: se nasci in certe famiglie, se vivi in certe zone, non c’è modo di essere diversa; e se anche sfuggi, se cerchi di ricrearti una vita in un’altra

La scheda di Gelasio Gaetani d’Aragona

città, ci sarà sempre un parente che viene a chiederti aiuto, ospitalità, magari anche una firma e l’intestazio­ne di un conto corrente. Queste donne hanno figli che non possono far crescere, oppure sono finite in carcere prima di averne, e sperano di essere ancora fertili quando torneranno in libertà. Alcune di loro leggono, altre scrivono lettere, magari fanno ginnastica e si tengono in ordine. Molte sono piene di rancore per i processi eterni, perché si sentono incastrate ingiustame­nte, perché non capiscono o non hanno avuto scelta. Amerebbero bere vino, ma non è concesso, eppure tra le tante cose che possono imparare, per quando torneranno libere, ci sono i vari dignitosis­simi mestieri del vino. Ma in carcere è considerat­o pericoloso come una droga, o forse troppo buono per meritarlo. È alle detenute di Vigevano che penso sorseggian­do il vino prodotto a Gorgona, l’isola-carcere. Con storie così tragiche e commoventi, solo un po’ di ebbrezza può aiutare a immaginare per loro un futuro diverso da quello già tracciato.

(l’intenditor­e)

A Gorgona, l’isola più piccola dell’Arcipelago Toscano, vivono 70 detenuti che scontano antiche pene. Il marchese Lamberto de’ Frescobald­i, laureato in enologia in California, vedeva il carcere di Alcatraz e... meditava. Sarà per questo che, con Carlo Mazzerbo, direttore del carcere di Gorgona, ha progettato un vigneto bio sull’isola. I “vignaioli” sono 12, selezionat­i fra i 70 detenuti. Da uve Vermentino e Ansonica, il vino è giallo paglierino con tenui riflessi verdolini. Al naso esordisce con note di maracuja e fico d’India che evolvono verso sentori agrumati. In bocca è pieno, sapido, leggerment­e fresco, intenso e persistent­e. Annie Feolde, starchef di Enoteca Pinchiorri, lo ha abbinato a un piatto creato ad hoc: Risoni al limone verde e chiocciole. Prezzo 75 euro.

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