Corriere della Sera - Io Donna
RAFFAELLA, VITTIMA “FORTE”
mentre la polizia lo sta portando in caserma ammanettato, il marito assassino incrocia lo sguardo della sorella e ammette: «Ho fatto una stronzata». La stronzata l’ha fatta a sua moglie Raffaella Presta, avvocata penalista quarantenne, madre di suo figlio: due colpi letali di fucile all’inguine e alla schiena, proprio il 25 novembre, Giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Pochi giorni prima la donna aveva inviato via WhatsApp al fratello e a un’amica il selfie del suo viso tumefatto dalle botte, con messaggino ironico: «Incidente domestico, diciamo». I maltrattamenti duravano da tempo. L’autopsia ha rivelato la rottura di un timpano. Da qualche mese Raffaella si era dimessa dallo studio legale in cui lavorava: costretta dal marito-bambino, forse anche per non doversi presentare in ufficio piena di lividi. Non puoi non chiederti come mai questa storia si sia potuta trascinare fino all’exitus. Raffaella era penalista, quindi più che consapevole. Suo padre è maresciallo dei Carabinieri. Se una donna maltrattata si fosse rivolta a lei, probabilmente l’avrebbe accompagnata fuori dal guado. Perché non ha saputo farlo per se stessa? Che cosa le ha impedito di decifrare la più classica excalation della violenza maschile? Spesso le denunce non bastano: ma perché non ci ha nemmeno provato? Da dove è nata la sopravvalutazione della propria forza, l’idea di poter tenere a bada il marito inferocito dal terrore dell’abbandono, al punto di arrivare a scherzarci su? La storia di Raffaella racconta esemplarmente le cosiddette “vittime forti”. Chi si riconosce in questa vicenda non perda tempo.