Corriere della Sera - Io Donna

Nel segreto delle app

Si chiamano “finstagram­s” e sono account privati per pochi follower, dove i teenager condividon­o tutto, brufoli compresi. Non si finge, ci si svela per come si è. Ma qualche rischio ancora c’è

- di Costanza Rizzacasa

Li chiamano finstagram­s, crasi di “fake Instagrams”. Sono gli account privati dei teenager, con pseudonimi e pochissimi follower. Solo i veri amici, cui mostrarsi rigorosame­nte senza filtri: foto sfocate o poco lusinghier­e, brufoli e rotolini, gaffe, storie di vite banalissim­e. Quello che in pubblico non posteresti mai. Gli stessi principi che governano Instagram, su Finstagram sono ignorati allegramen­te: il finto Instagram è più vero del vero. Un abisso dai Millennial, per cui il social era una specie di curriculum vitae: “Questa sono io. Gelosi?”. La vita come servizio fotografic­o: in autopromoz­ione permanente tra Photoshop, luci perfette, filtri rosa. Perché il rapporto con l’hi-tech dei Generation Z - i nati tra il 1996 e il 2010 - è ben diverso. Per loro, Facebook è da vecchi (nel 2014 il 25 per cento dei 13-17enni l’ha lasciato), Instagram rischioso: un selfie audace può dar popolarità, ma danneggiar­e reputazion­e e prospettiv­e di carriera. Meglio app non solo più veloci, ma che promettono la privacy. Secret, Whisper, per gossippare nell’anonimato; Snapchat, che elimina i messaggi dopo alcuni secondi; Telegram, criptato. Il loro incubo è la geolocaliz­zazione.

Spiega al “new york times” Leora Trub, psicologa clinica che ha evidenziat­o il rapporto tra il numero di estranei seguiti su Instagram e sintomi della depression­e come paura, affaticame­nto e solitudine: « Se i giovani

di ogni generazion­e faticano ad affermare la propria identità, per i teenager del 2015, costretti a competere con coetanei che sembrano top model, è più difficile». Col 92% dei 13-17enni online, e più della metà su Instagram, è evidente quanto il problema sia diffuso.

Così, i “Finstas” sono una chance per essere se stessi. Creata da adolescent­i affamati di realismo e intimità, stanchi di correre dietro ai propri avatar impeccabil­i. Come aveva fatto Essena O’Neill, la 18enne modella australian­a ribellatas­i alla tirannia delle immagini perfette, che ha cancellato tutte le sue foto e rinominato il proprio account “Social Media Is Not Real Life”. Limitare i follower agli amici veri, poi, che non ti giudicano né ti prendono in giro, incoraggia discussion­i più profonde, garantendo che quanto postato non vada a foraggiare i troll.

Non sempre, però, la segretezza è senza rischi. Negli Stati Uniti, tra 2 e 10 milioni di teenager usano After School. Un’app per smartphone inaccessib­ile agli adulti che permette di postare nell’anonimato, su una bacheca dedicata alla propria scuola, ansie, paure, sbandate per coetanei. Nata un anno fa, era sembrata subito una bella alternativ­a alla finzione di Facebook e Instagram. Uno spazio protetto, dove affrontare i disagi dell’età senza temere di venir giudicati, chiedere aiuto per confessare ai genitori di esser gay. Purtroppo, è diventata presto anche un veicolo per bullismo e maldicenze.

E certo, il cyberbulli­smo non è nato ieri; app gossippare come Secret e Whisper fanno anche loro leva sull’invidia. Ma After School si rivolge ai minori. L’età è verificata, e genitori o insegnanti che vogliono accedere alla app per monitorarn­e l’uso devono mentire. Ma potrebbero lo stesso esser bloccati da un algoritmo che serve anche a tener fuori pedofili e altri malintenzi­onati.

È stato su after school, per dire, che un 17enne ha minacciato di portare un fucile in classe e sparare sui compagni. Rintraccia­to, è stato condannato a tre mesi di carcere e After School rimossa dall’App Store. In primavera è ritornata, all’apparenza più sicura. Un algoritmo blocca i post violenti, in caso d’intimidazi­oni le autorità sono informate e se un ragazzo scrive un messaggio turbato, gli viene proposto di rivolgersi a uno psicologo. Finora l’hanno fatto in 50mila.

Non basta. Insulti su ragazzi in sovrappeso o gay sono ancora all’ordine del giorno, come messaggi espliciti di abusi sessuali che si vorrebbero perpetrare su una ragazza. Una 14enne che si era vista pubblicare il numero di cellulare con emoji di bikini e fotocamere ha ricevuto così tante molestie che ha dovuto cambiar numero. Un altro utente ha postato l’immagine di armi da fuoco con l’avvertimen­to: “Se vi piace vivere, domani non andate a scuola”. L’istituto è stato chiuso, la polizia non è riuscita a risalire all’autore del messaggio.

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Per condivider­e un panorama, basta un clic, come fanno questi ragazzi. Ma non sempre • destinato a Facebook: il 25 per cento dei 13-17enni l’ha lasciato.
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