Corriere della Sera - Io Donna
IL NOBEL CHE NON SAPEVA BERE Se William Faulkner avesse conosciuto il Pinot nero...
olti di voi conosceranno Wil
liam Faulkner; alcuni avranno letto i suoi più celebri romanzi -
- e visto i film tratti dai suoi racconti o di cui scrisse la sceneggiatura, magari o Chi ama sentir parlare di come nasce un romanzo avrà letto la sua famosa intervista a sul mestiere dello scrittore. La si trova su internet e si può gustarla sorseggiando un ottimo vino, magari un Pinot nero, che secondo me è il vitigno migliore del mondo. In questa lunga conversazione Faulkner spiegò quale fosse la sua condizione ideale per scrivere; una condizione che ovviamente gli sfuggiva e rimase sempre solo un sogno. Questa e altre frustrazioni lo resero un alcolista, cosa del resto comune tra gli scrittori americani del Novecento, da Hemingway a Fitzgerald, da Fante a Cheever. Tra un ricovero per disintossicarsi e l’altro, Faulkner scrisse romanzi, racconti, poesie, sceneggiature; si occupò di una moglie adorata, di diverse amanti, di figli, di case e agricoltura. Nel 1949 vinse il Nobel. A quel pun-
La scheda di Gelasio Gaetani d’Aragona
to, in piena Guerra Fredda, divenne una sorta di ambasciatore culturale degli Stati Uniti, invitato in tutto il mondo per tenere conferenze, «prova vivente che i valori americani non erano solo il chewing gum e Mickey Mouse». In quelle occasioni era necessario che si comportasse sobriamente, senza creare imbarazzi al Paese ospitante. Così, il Dipartimento di Stato emise un dispaccio con norme-guida per i suoi viaggi, recapitato nelle varie ambasciate. «Non gli sia permesso di avventurarsi da solo senza scorta», «Affiancargli un responsabile dei liquori che li contingenti», «Far sedere diverse belle ragazze nelle prime due file durante gli incontri pubblici, per tenere desta la sua attenzione». Nell’intervista a Faulkner disse: «La mia esperienza è che gli strumenti di cui ho bisogno per il mio mestiere sono carta, tabacco, cibo e un po’ di whisky». Sicuramente non conosceva il Pinot nero, che è particolarmente adatto alla riflessione e alla scrittura e non l’avrebbe messo nelle condizioni di diventare un sorvegliato speciale.
(l’intenditore)
Se andate al Bolognese o all’Osteria Der Belli, a Roma, o al Conte Camillo e al Don Lisander, a Milano, e chiedete del mio vino preferito, vi porteranno un Pinot nero di Franz Haas. L’ho assaggiato la prima volta con la vendemmia 1995 e da quel momento mi sono dimenticato delle scorribande giovanili in moto alla ricerca dei più buoni vini del mondo, sulla Nazionale 74 che da Digione conduce a Chalon sur Saône. È il piu grande Pinot nero italiano: Franz ha fatto delle sue vigne sulle colline di Mazzon, Pinzano e Montagna veri e propri terroir Cru, le cui denominazioni sanciscono l’identità assoluta vino-territorio. Al naso, prugna e tabacco; al palato, ciliegia scura e mandorla dolce. L’acidità e la morbidezza dei tannini fanno di questo Pinot una cosa seria.