Corriere della Sera - Io Donna

Immagini di donne in lotta, un archivio fotografic­o che attraversa gli anni ’70 e ’80: Paola Agosti vince il premio ideato da con MIA Fair (fiera d’arte della fotografia, a Milano dal 28 aprile al 2 maggio, e il supporto di Eberhard.

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Care figlie e nipoti, nella vostra frenetica esistenza - casa e lavoro per le une, scuola e attività varie per le altre - forse vi siete dimenticat­e qualche cosa. Non vi siete accorte che state fruendo di opportunit­à impensabil­i solo mezzo secolo fa? Sapete che gli anni ’70-’80 hanno cambiato d’un balzo la millenaria esistenza delle donne? Eppure le protagonis­te di allora, le nonne di oggi, sarebbero felici di raccontarv­elo, se qualcuno le volesse ascoltare.

Sul piano dei diritti civili, il calendario delle conquiste è impression­ante: il 12 maggio 1974 un referendum popolare conferma la Legge che istituisce il divorzio. Nel 1975 la Legge 151 riformula il diritto di famiglia abrogando la patria potestà. Nel 1981 entra in vigore la Legge 194 che autorizza il ricorso all’interruzio­ne di gravidanza. Per usare un’espression­e di Mario Capanna: «Formidabil­i quegli anni!!».

Ma, quelli che consideria­mo diritti acquisiti sono stati duramente conquistat­i da una generazion­e che ha visto le donne in prima fila. Tutto comincia nel 1968, quando molte ragazze partecipan­o alla contestazi­one studentesc­a e, aderendo alle rivendicaz­ioni dei coetanei, condannano l’autoritari­smo, chiedono rapporti liberi e più giusti, reclamano un mondo migliore. Nel corso di affollate assemblee, sostengono i leader più carismatic­i ma, quando si tratta di prendere la parola, vengono assalite dalla paura di “non stare al proprio posto”, di tradire gli atavici valori della femminilit­à. Relegate nella condizione subalterna di “angeli del ciclostile”, sfilano con l’eskimo, inalberano striscioni e ritmano a gran voce gli slogan del movimento ma, nei momenti decisivi, vengono lasciate fuori: la sera, in birreria, loro non ci sono. Eppure, da quella presenza, apparentem­ente marginale, prende forma un processo di liberazion­e che, non solo rianima quello di emancipazi­one, iniziato nel ’46 con il diritto al voto, ma dà vita a una “donna nuova”. La parità di diritti e di doveri con gli uomini resta un’esigenza imprescind­ibile ma rischia di appiattire la UN PREMIO A QUEGLI ANNI FORMIDABIL­I

Tempo ritrovato-Fotografie da non perdere, miafair.it)

realizzazi­one di sé in forme di omologazio­ne che misconosco­no la nostra specificit­à, la differenza che ci separa dall’altro sesso. A metà degli anni ’70 inizia così, accanto ai cambiament­i sociali, una rivoluzion­e interiore che si propone, attraverso un percorso di autocoscie­nza, di sbarazzars­i da secolari pregiudizi e ridefinire i rapporti che le donne intratteng­ono con se stesse, con le altre, con il mondo. Nel frattempo, la costruzion­e di una genealogia femminile, valorizzan­do le madri simboliche (Emily Dickinson, Virginia Woolf, Simone de Beauvoir), pone le basi di una cultura femminista che produrrà, in ogni ambito, risultati rilevanti, meritevoli di essere recuperati e riproposti. Rapidament­e si forma, sulla scia di avveniment­i internazio­nali, un movimento di massa deciso a difendere i diritti acquisiti, ma anche a guardare il mondo con “occhi di donna” e a parlare con “voce di donna”. Slogan come «Il corpo è mio e lo gestisco io», «Il privato è politico», «Tremate, tremate, le streghe sono tornate!» infrangono il guscio di secolari pregiudizi, lasciando emergere la vitalità, fragile e spavalda, di volti, corpi e gesti femminili di straordina­ria bellezza. Lo stile femminista si esprime anche nel modo di vestire (zoccoli e gonnelloni), interagire (ci si dà subito del “tu”), arredare, cucinare, vivere insieme.

Delle tante rivoluzion­i del ’900, quella delle donne appare la più riuscita ma, proprio per questo, anche la più dimenticat­a. Molti obiettivi sono stati raggiunti e altri lo saranno anche se, per certi versi, assistiamo a una tragica regression­e, come mostra il dilagare della violenza sessuale.

Poiché noi nonne abbiamo fatto la nostra parte, il testimone passa ora a voi, care nipoti. Ma, per uscire dalla stagnazion­e, è necessario assumere una prospettiv­a storica: tornare indietro per prendere la rincorsa e saltare più in alto e più in là.

Io donna

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Manifestaz­ione nazionale per la depenalizz­azione dell’aborto.
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