Corriere della Sera - Io Donna
RACCONTO DI CUCINA QUEL DOLCE PROFUMO DI FELICITà
L’odore di zucchero filato, le fiere d’agosto, la casa dei nonni. La scrittrice spagnola ci regala un ricordo d’infanzia. E tre sue ricette: croquetas, gazpacho, sangría. Per rinfrescare l’estate caliente
L’odore di caramello bruciato arrivava fino alla casa dei nonni. Avevamo la fortuna di dover semplicemente attraversare la strada per entrareal la Fiera, che ogni anno ad agosto veniva allestita lungo il viale, che prende appunto il nomediPaseode la Feria. Durante lamia infanzia l’ intera famiglia si riuniva in quel luogo: fratelli, zii, cugini equalche amicoche si aggiungeva al nutrito gruppetto. C’erauna tale confusione che tutti quanti facevamo ciò che ci pareva. Nessuno teneva il con todi nulla e alla fine, tra tutti, noi bambini racimolavamo denaro sufficiente per salire su ogni sorta di aggeggio. Ci piacevano damorire gli autoscontri e il trenino, le cui sbandate laterali avrebbero potuto fratturare il collo a chiunque. Bisognava tenersi davvero forte e mantenere intensione i muscoli del collo per evitare chela testaci volasse via.
Sul“calcinculo” la sicurezza era minima e perdi più agitavamo i seggiolini come pazzi. Se arrivavamo a toccarli coni piedi, spingevamo quelli davanti a noi. Saltavamo da un’ attrazione all’ alt radisposti a giocarci la vita, posseduti dalla musica trascinante che arrivava dagli altoparlanti assieme all’ annuncio dello spettacolo della PetiteTerin, la donna più piccola delmondo. Credo che laFiera sia stata una perfetta palestra per addestrarci a ciò che lavi taci avrebbe riservato in futuro: sgomitate per salire per primi sulle macchini ne, per poi scendere con la piattaforma ancora in funzione, con la nausea ma ansiosi di raggiungere l’ attrazione successiva.
Ricordo abbastanza chiaramente le fiere di quando avevo 9, 10e11anni. Ciascuno viveva la propri avita in funzionedell’età: gli adulti congli adulti e i bambini con i bambini. Ci liberavamo gli uni degli altri, inmodo sano e necessario, cosa che non sono mai riuscita a fare conmia figlia. Nonappena atterravo alla “casa dellalibertà”, lacasadeinonni, approfittavoper radermi legambe con il raso iodi mio padre e altrettanto faceva mio cugino Ma nolo, che si era invaghito del mio vestito bianco della PrimaComunione e se lo provava ogni volta che poteva. Poi ci dirigevamo al tiro
a segno raccontandoci, tra uno sparo e l’altro, i nostri sogni. Quello di mio cugino era avere un bastone d’ oro e argento e ilmio, semplicementedi essere grande. Ed entrambi si sono realizzati.
Soltanto una volta il nonno mi portò al circo della Fiera, come regalo soltanto per me, emi annoiai come non mai. Per non deluderlo resistetti sino alla fine. Ero troppo selvatica per apprezzare la finezza di uno spettacolo che pareva non fini remai. Soltanto i trapezisti risvegliarono un poco lamia attenzione, anche se alla terza capriola ero già stanca. Il nonno mi spiegò che quelle persone erano un esempi odi perseveranza e sacrificio per riuscire a svolgere la loro attività con il sorriso sulle labbra, come se non richiedesse alcuno sforzo. E la verità è che odio me stessamille volte per non riuscire a farmelo piacere. E i pagliacci rappresentano il culmine di ciò chemi piace meno del circo. Emi odio anche perché mi sembrano così tristi e noiosi. Enonmi attirano nemmeno gli animali che fanno cose che abitualmente fanno le persone, sebbene il nonno dicesse che serviva tanto lavoro per far sì che un’ elefantessa di nome Valeria posasse sul petto del domatore sdraiato a terra una zampa leggera come una piuma, senza fare la minima pressione.
Mi dispiace, non mi ha impressionato. Mi impressiona di più un leone che ruggisce o un elefante che abbatte un albero, perché sono cose che un essere umano non potrà mai fare. Ad ogni modo all’ uscita, assonnata e sfinita, ebbi lamia ricompensa: un delizioso zucchero filato, che ancora oggi corro a comprare appenami è possibile, perché trasporta il mio cuore nel mondo che mi appartiene.
Co me dicevo, la festa iniziava con quel meraviglioso odore dolce che spingeva adat traversare la strada e a gettarsi tra il rumore, lamusica e il vociodella gente. Il viale era lungo e ospitava due chilometri di attrazioni meccaniche e casette di ogni tipo, dove scialacquare i soldini che ci davano genitori, zii e nonni, entusiasti all’idea di perderci di vista. In alcune vendevano frutta candita, torrone, frutta secca, sebbene a farla da padrone fossero le mele caramellate e lo zucchero filato.
Ma soprattutto lo zuccherofilato era l’essenzadella Fiera, la sua ragione di esistere. Era etereo come il nostro futuro. Un sogno, che svanivano n appena affondavamo il viso nel suo colore rosato. Sulle labbra restavano deliziosi fili, a ricordo di ciò che la vita avrebbe potuto essere. Enormi nubi che ci offrivano un istante di delizia. Bisognerebbe fare un monumento a chi ha inventato questo meraviglioso, impalpabile e raffinato dolce, che nessun pasticciere è riuscito a eguagliare.
Qualcuno ha avuto l’ idea e qualcun altro ha realizzatola macchina nella quale lo zuccherosi trasforma in un’illusione, pensando non ai palazzima alle fiere e ai bambini, alla semplice gioia di vivere.