Corriere della Sera - Io Donna

BELLEZZA ROSSO TATTOO

“Sono sulla bocca di tutte. Perché amo stupire. Soprattutt­o se scelgo di vestirmi con la mia tinta preferita, quella che non passa inosservat­a”. Uno scrittore racconta per noi il rossetto, IN PRIMA PERSONA. Una storia che resta impressa. Come il segno di

- diGiuseppe Scaraffia

Sononatone­l1915, mah o dovuto aspettare a lungo per essere battezzato. C’era chi voleva chiamarmi “Rêve d’amour”, chi sosteneva che potevo chiamarmi soltanto “Rouge baiser” e chi insisteva per “Nem’oubliez-pas”. Alla fine venne fatto un compromess­o e venni battezzato “Rêve rouge”. Inutile dirvi quanto ero orgoglioso di essere il primo dellamia specie ad andare sue giù nel cilindro d’ argento istoriato che mi proteggeva. Un poeta famoso, Gabriele d’ Annunzio, si entusiasmò alla notizia del lamia nascita emi fece spedire in Italia. Fu un viaggio avventuros­o perché era scoppiata la guerra e più di una volta rischiai di essere rubato o di finire in qualche buca. Ma quando arrivai a Venezia venni messo in bella vista su un tavolino intarsiato vicino al letto del poeta. Sembrava un posto d’ onore, invece le amantich es filavano in quella stanza mi guardavano ap-

pena mentre mi usavano per darsi un ultimo tocco prima di abbandonar­si ai suoi abbracci.

Una di loro, un’allumeuse, mi usò più volte nella stessa notte per tatuare l’ esile corpo di D’ Annunzio di baci rossi. Però fu l’ unica cosa che gli concesse e lui, esasperato, la cacciò di casa. Un istante do pomi ritrovai al buio nella trousse profumata del lamia nuova padrona. Ero emozionato, come sempre all’inizio di una nuova vita, ma per molti giorni lei sembrò avermi dimenticat­o. Mi stavo abituando a quell’ oscurità quando un’ esclamazio­ne gioiosa mi svegliò. Era una donna di una bellezza strana, mascolina, con i capellicor­ti, lacravatta e ilmonocolo. “Credevo che tu non ti mettessi mai il rossetto !”, esclamò lamia rapitrice .“Melo metto soltanto per fareall’amore ”, rispose l’ altra. Poi iniziò un’ ora turbinosa in cui passaidaun­abocca all’altra, per tacere di altrepiùin­time escursioni. Ero soddisfatt­o, finalmente ero tornato a Parigi dove ero nato e dove le donne sapevano come usarmi. Passa idi bocca in bocca, uomini e donne assaporaro­no lamia dolcezza. Mi emozionai quando sulle labbra di un’ africana assunsi una sfumatura malva. Era il 1931, sedici anni per un rossetto sono tanti, emi stavo rassegnand­o a seccarmi pocoapocop­erpoi finire imiei giorni infondo auncassett­o, quandoduem­ani mi afferraron­o con garbo. Non eranomani femminili, ma quelle di un uomo elegante dalla faccia tonda che mi esaminò con attenzione. “Ehi Mirò cosa ci fai con quel rossetto rinsecchit­o ?”, gli chiese ma moglie. Ma lui, Joan, non rispose. Tirò fuori unmozzicon­e dimatita e tracciò su un foglio un’ immagine, po ila colorò con miei ultimi rossori. Passa id imano in mano, dormii per anni schiacciat­o inunacarte­lla. Adessovivo incornicia­to in _ un museo e posso dirvi senza arrossire che sono diventato famoso anche se nessuno sa più il mio nome.

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