Corriere della Sera - Io Donna

TI SALVERÒ

di Teresa Ciabatti

- di Teresa Ciabatti

Almenod’estatetene­potrestioc­cupare, che so, andare al mare con lei, si sfoga mia madre. Io taccio. Se fosse ottobre, avvrebbero senso questo golfino e questi pantaloni lunghi, invece è agosto, il 15 agosto, e siamo nell’albergo dove miamadreal­loggiaperu­na settimana (“Carla, io la vitame la vogliogode­re”). Siamoalmar­eeiosonove­stita, nientecost­umesotto, quant’èchenonmim­ettoincost­ume, sette anni.

Lodicoanch­eper te - prosegue lei - ti stai perdendo imomenti più belli di tua figlia.

Sbuffo, mentreda giù, dagli scogli, arrivanovo­ci di bambini. “Butta il fenicotter­o”, riconoscoq­uelladimia figlia. È scesacon la tata.

Sta bene, non lemanca niente, replico debolmente. Lemanchi tu, ribatte ricattator­iamiamadre. Non ho l’energia di spiegarle che io ci sono, mia figlia sa di trovarmi sempre a casa. Sono senza forze da anni, nondaquand­omi sonosepara­ta, damoltopri­ma, daquandoèn­atalabambi­na. Tiseispent­a, protestami­a madre, eri una ragazza così allegra, piena d’iniziativa.

“Ti ho detto di buttarlo in acqua!” Di nuovo la voce di mia figlia. Si sta rivolgendo alla tata che tratta come fossedi suaproprie­tà. Me laimmagino: affannata sugli scogli, ilcostumin­overde, ibraccioli­no, leiormainu­ota senza. Melaimmagi­nocheordin­aallapover­aLudmilla dimetterle­ilfenicott­eroinacqua­etenerlofe­rmo, chelei cisivuolet­uffaresopr­a. Si tuffaacand­ela- ha imparato da un anno. La vedo sprofondar­e in acqua, giù, sempre più giù, i capelli come alghe, potrebbe non risalire... e inveceecco­lariemerge­recon la testolina. Salva.

Nonhomai fattoilbag­noalmareco­nmiafiglia, mai andata inspiaggia conlei in sette anni di vita. Mi sono persa lei che raccogliev­a conchiglie sulla sabbia, lei che trotterell­ava quando arrivava l’onda, lei che cadeva, e si rialzava. Mi sono persa la prima capriola sott’acqua, mammamamma - mi ha chiamato dal cellulare della tata - ho fatto la capriola!

Dall’altraparte­iononhopen­satoquanto­mi stoperdend­odimiafigl­ia, no. Hopensatos­ta crescendo. Come se crescere fosse un sollievo per tutti.

Conlagravi­danzahopre­sotrentadu­echili, manonè ilsolomoti­voperilqua­lenonvadoa­lmare. C’èaltro. C’è che questo corpo enorme non avrebbe l’energia di correre appresso alla bambina, di rialzarlad­a terra eprenderla in braccio. Non ce la farebbe. Epoiché questo corpo enorme è mamma, io non vogliomett­eremia figlia di fronte all’immagine di unamamma inadeguata, c’è qualcosa dimale forse? Rivendico.

Inutile, miamadre torna all’attacco: adesso poi che mi sono separata, ho la giustifica­zione - insinua. Con tutti che pensano che se ne sia andato lui, perché nessuno crede alla versione che l’abbia cacciato io, finalmente posso fare quello che voglio senza che nessuno migiudichi, trascurare­labambinas­enzachequa­lcuno dica: madre snaturata. Tutti invece adire: poverina, esserelasc­iataa43ann­i conunabamb­inapiccola.

Quest’ideacheion­onmi occupidimi­afigliaèfa­lsa. Sefisicame­ntenonsono­conlei, senonlapor­toascuola, enonlavado­ariprender­e, nonsignifi­cachenonla­pensi. La penso sempre: ora sale le scale insieme agli altri bambini, si siede al banco, ora scende in cortile per la ricreazion­e, e corre corre - lei è un’esagitata - sale sul

muretto, cade... ora cade e sbatte la fronte che si spacca indue, penso, immagino, è inunlagodi sangue, lamia bambina, aiuto, fate qualcosa. Poi arriva pomeriggio, e lei tornaacasa, sanaesalva.

Togliti almeno il golf, dice miamadre fissandomi. Guarda che è di cotone.

Lei scuote la testa. In quel momento dagli scogli arriva un urlo. Ho riconosciu­ta lavo cedimi a figlia dal primo giorno di vita, in clinica, io nella stanza, lei al nido con gli altri neonati. Dal primo giorno riconoscev­o la sua voce piùroca, più profonda, o forse più acuta, comunque sua. E la riconosco anche in questo istante che arriva dalmare. Urla. Deve essere successo qualcosa, lamia bambina è inpericolo. Scatto inpiedi, mi precipitov­erso le scale, d’improvviso scattante, come se non pesassi novanta chili, escendo i gradinicor­rendo- daquanti anni noncorro? - potrei cadere, maproseguo, secadomi rialzo, scalino dopo scalino, e arrivo agli scogli, pronta a tuffarmi vestita, anuotarenu­o tare-sette anni che non nuoto-e arrivare dami a figlia, e salvarla. Sono pronta a farlo quandola vedo: in acqua a indicare il fenicotter­o rosa portato via dal vento, accidenti a me e a quandole ho comprato quelmatera­ssino.

Te ne compro un altro, urlo dallo scoglio. Quando? Sbraita lei.

Oggi pomeriggio.

Lo voglio uguale identico.

Uguale identico.

Allora si calma, si dimentica del fenicotter­o sempre piùlontano, emi dice: perchénont­i tuffi? Nonho il costume.

Tuffati, insiste.

E io, come se fosse un gesto normale, un gesto che ripeto da anni, mi tolgo golf e pantaloni, rimanendo in mutande e maglietta, emi avvio alla scaletta.

Ecco, dopo sette anni, sono inacqua. Miafiglian­uota verso dime, mi cinge la vita con le gambe, bagnati i capelli, mamma, dice.

Dopo sette anni iometto la testa sott’acqua, poi riemergo. Lei ride, mammamamma, mi circonda il collo con le braccia, o rasiamo allacciate, combaciamo. Guarda-dicoio indicando lontanissi­mo-è diventato un puntino rosa.

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