Corriere della Sera - Io Donna
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Da milioni di anni sfidano i mille pericoli delle acque per andare a deporre le uova sulle spiagge. Basterebbe questo piccolo MIRACOLO della natura per convincerci a proteggere le Caretta caretta dalla plastica. E dagli esseri umani. Come racconta un biol
Ilmioprimoincontroconuna tartarugamarina avvenne a Fregene, località di mare alle porte di Roma. Un mattino scoprii che, nella fontana dello stabilimento balneare, insieme ai pesci rossi c’era una tartarugamarina enorme, chesimuovevaastentoscivolando sulle piastrelle turchesi, inunpalmo d’acqua infuocato dal sole.
Avevo10anni, opocopiù, enonvolevochequell’animalefinisseisuoigiornicomeunfenomenodabaraccone, perincuriosireifrequentatoridellaspiaggia. Così, coni miei fratelliealtri ragazzini, pattuimmoilprezzodella libertà conilproprietariodellostabilimento, che aveva comperato il grande rettilemarinonelportodi Fiumicino, doveera statomessoall’asta, insieme a sgombri e sardine. Ventimilalireil riscattodaversare, pari, aquei tempi, al costo di 400 gelati.
Per salvare i 150mila esemplari che ogni anno vengono catturati nellediterraneo si è mosso un esercito di volontari
Dovemmo dare fondo a tutti i risparmi che avevamo messo dap artefacendo i“raccattapalle” nei campi di tennis, ma cela facemmo. E un pomeriggio, al tramonto, portammo la tartaruga al largo, remando su un pattino.
Lasciata inacqua, la tartaruga sembrò volare, battendo le sue lunghe pinne, e quel giorno il ma redi Romasi trasformò, per me, nel più affascinante degli oceani tropicali. Le tartarughemarine, che permolti di noi dovrebbero vivere solo alle Seychelles o ai Caraibi, in realtà popolano anche il Mediterraneo, nonostante debbano vedersela con unamoltitudinedi ostacoli.
Questi animali, infatti, che da centinaia di milioni di anni affrontano le mille insidie della vita in altomare, non avevano previsto di dover farei conti con le eliche impazzite dei motoscafi, coni sacchetti di plastica che somigliano agli appetitosi ca lamaridei quali sono ghiotte, con gli invitanti bocconcini di pesce che nascondono un perfido amo, con le reti che le avviluppano e le trattengono sott’acqua per ore, il tempo che basta per farle annegare, perché le tartarughe marine, come noi, hanno i polmoni, e devono respirare l’aria atmosferica.
Per salvare anche solo una parte delle circa 150 mila tartarughe marine che ogni anno vengono catturate nel mar Mediterraneo, sièmesso in moto un esercito di volontarie veterinari cheoperano incentri dislocati anche lungo le nostre coste. Tutti animati dal desiderio di proteggere un rettile che è più antico dei dinosauri. Già, ma perché salvare le tartarughemarine? Anzitutto perché pochi alt rianimaliso no amati in modo universale e senza eccezioni quanto la protagonista delle epiche fughe dei tartarughini, che sfrecciano sulla sabbia aggrediti dai gabbiani.
Con le loro pinne smisurate, le creature appena sgusciate dalle uova si precipitano verso le onde, mentre gabbiani, fregate e avvoltoi schia- mazzano sopra di loro. In quei momenti anche il più ortodosso degli ornitologi non esiterebbe a prendere a schioppettate i voraci pennuti per salvare le tartarughine.
Poi perché le tartarughe marine mangiano le meduse, che funestano i nostri tuffi anche dove l’acqua è più blu. Infine perché la loro esistenza è un fatto talmente miraco- loso che va comunque tramandato alle future generazioni. Questi rettili vivono in mare per gran parte della loro esistenza, e si spostano negli oceani seguendo antiche vie di migrazione con una capacità di orientamento che lascia ancora increduli gli scienziati. Natepermangiare, dormire, accoppiarsi inmare, le tartarughemarine devono comunque venire a terra per deporre le uova. Lo fanno di notte spiando il momento opportuno, quando la spiaggia appare buia e deserta. Anche la fiammella di un accendino potrebbe impaurirle e farle tornare inmare, ma se tutti sono andati a dormire e nessuno è rimasto a schiamazzare con la chitarra sulla sabbia, mamma tartaruga esce dall’acqua e, arrancando, si trascina tra sdraio e ombrelloni, pedalò e reti dabeachvolley.
Scava una profonda buca e depone un centinaiodi uova grandi come palline da ping pong: lo sforzo è tale che una lacrima le scende dagli occhi. Poi, silenziosa e furtiva, si gira e torna nell’abbraccio sicuro del mare di notte. Al mattino i bagnini o i primi frequentatori della spiaggia troveranno sulla sabbia strane tracce; sembrano quelle di un trattore che viene e ritorna al mare. Se capiscono cosa è avvenuto, possono ancora salvare lo sforzo della mamma tartaruga, recintando la zona del nido con una retee segnalando che lì non si possono piantare gli ombrelloni e stendere i teli, perché fra un paio dimesi nasceranno i tartarughini. E questo può avvenire anche nelle più freqentate delle spiagge italiane, al culmine della stagione balneare. Ditemi voi se questo non sia un miracolo degno della massima ammirazione.