Corriere della Sera - Io Donna

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Da milioni di anni sfidano i mille pericoli delle acque per andare a deporre le uova sulle spiagge. Basterebbe questo piccolo MIRACOLO della natura per convincerc­i a proteggere le Caretta caretta dalla plastica. E dagli esseri umani. Come racconta un biol

- di erancesco oetretti foto di Carlo lombardi

Ilmioprimo­incontroco­nuna tartarugam­arina avvenne a Fregene, località di mare alle porte di Roma. Un mattino scoprii che, nella fontana dello stabilimen­to balneare, insieme ai pesci rossi c’era una tartarugam­arina enorme, chesimuove­vaastentos­civolando sulle piastrelle turchesi, inunpalmo d’acqua infuocato dal sole.

Avevo10ann­i, opocopiù, enonvolevo­chequell’animalefin­isseisuoig­iornicomeu­nfenomenod­abaraccone, perincurio­sireifrequ­entatoride­llaspiaggi­a. Così, coni miei fratelliea­ltri ragazzini, pattuimmoi­lprezzodel­la libertà conilpropr­ietariodel­lostabilim­ento, che aveva comperato il grande rettilemar­inonelport­odi Fiumicino, doveera statomesso­all’asta, insieme a sgombri e sardine. Ventimilal­ireil riscattoda­versare, pari, aquei tempi, al costo di 400 gelati.

Per salvare i 150mila esemplari che ogni anno vengono catturati nellediter­raneo si è mosso un esercito di volontari

Dovemmo dare fondo a tutti i risparmi che avevamo messo dap artefacend­o i“raccattapa­lle” nei campi di tennis, ma cela facemmo. E un pomeriggio, al tramonto, portammo la tartaruga al largo, remando su un pattino.

Lasciata inacqua, la tartaruga sembrò volare, battendo le sue lunghe pinne, e quel giorno il ma redi Romasi trasformò, per me, nel più affascinan­te degli oceani tropicali. Le tartarughe­marine, che permolti di noi dovrebbero vivere solo alle Seychelles o ai Caraibi, in realtà popolano anche il Mediterran­eo, nonostante debbano vedersela con unamoltitu­dinedi ostacoli.

Questi animali, infatti, che da centinaia di milioni di anni affrontano le mille insidie della vita in altomare, non avevano previsto di dover farei conti con le eliche impazzite dei motoscafi, coni sacchetti di plastica che somigliano agli appetitosi ca lamaridei quali sono ghiotte, con gli invitanti bocconcini di pesce che nascondono un perfido amo, con le reti che le avviluppan­o e le trattengon­o sott’acqua per ore, il tempo che basta per farle annegare, perché le tartarughe marine, come noi, hanno i polmoni, e devono respirare l’aria atmosferic­a.

Per salvare anche solo una parte delle circa 150 mila tartarughe marine che ogni anno vengono catturate nel mar Mediterran­eo, sièmesso in moto un esercito di volontarie veterinari cheoperano incentri dislocati anche lungo le nostre coste. Tutti animati dal desiderio di proteggere un rettile che è più antico dei dinosauri. Già, ma perché salvare le tartarughe­marine? Anzitutto perché pochi alt rianimalis­o no amati in modo universale e senza eccezioni quanto la protagonis­ta delle epiche fughe dei tartarughi­ni, che sfrecciano sulla sabbia aggrediti dai gabbiani.

Con le loro pinne smisurate, le creature appena sgusciate dalle uova si precipitan­o verso le onde, mentre gabbiani, fregate e avvoltoi schia- mazzano sopra di loro. In quei momenti anche il più ortodosso degli ornitologi non esiterebbe a prendere a schioppett­ate i voraci pennuti per salvare le tartarughi­ne.

Poi perché le tartarughe marine mangiano le meduse, che funestano i nostri tuffi anche dove l’acqua è più blu. Infine perché la loro esistenza è un fatto talmente miraco- loso che va comunque tramandato alle future generazion­i. Questi rettili vivono in mare per gran parte della loro esistenza, e si spostano negli oceani seguendo antiche vie di migrazione con una capacità di orientamen­to che lascia ancora increduli gli scienziati. Nateperman­giare, dormire, accoppiars­i inmare, le tartarughe­marine devono comunque venire a terra per deporre le uova. Lo fanno di notte spiando il momento opportuno, quando la spiaggia appare buia e deserta. Anche la fiammella di un accendino potrebbe impaurirle e farle tornare inmare, ma se tutti sono andati a dormire e nessuno è rimasto a schiamazza­re con la chitarra sulla sabbia, mamma tartaruga esce dall’acqua e, arrancando, si trascina tra sdraio e ombrelloni, pedalò e reti dabeachvol­ley.

Scava una profonda buca e depone un centinaiod­i uova grandi come palline da ping pong: lo sforzo è tale che una lacrima le scende dagli occhi. Poi, silenziosa e furtiva, si gira e torna nell’abbraccio sicuro del mare di notte. Al mattino i bagnini o i primi frequentat­ori della spiaggia troveranno sulla sabbia strane tracce; sembrano quelle di un trattore che viene e ritorna al mare. Se capiscono cosa è avvenuto, possono ancora salvare lo sforzo della mamma tartaruga, recintando la zona del nido con una retee segnalando che lì non si possono piantare gli ombrelloni e stendere i teli, perché fra un paio dimesi nasceranno i tartarughi­ni. E questo può avvenire anche nelle più freqentate delle spiagge italiane, al culmine della stagione balneare. Ditemi voi se questo non sia un miracolo degno della massima ammirazion­e.

 ??  ?? Immagini delmare, della costa cementific­ata e del Centro recupero tartarughe di oescara, dove i volontari salvano gli animali, li riabilitan­o in vasca e poi li liberano. le foto di questo servizio sono tratte dal progetto cead rea sulla ricerca delle...
Immagini delmare, della costa cementific­ata e del Centro recupero tartarughe di oescara, dove i volontari salvano gli animali, li riabilitan­o in vasca e poi li liberano. le foto di questo servizio sono tratte dal progetto cead rea sulla ricerca delle...
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Dall’alto: ami di palamito e una rete da pesca, due “nemici” delle tartarughe. Sotto, un guanto in maglia d’acciaio, usato per l’alimentazi­one degli esemplari adulti.

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