Corriere della Sera - Io Donna

LE POETESSE DELLA SETE

Di Michele Farina

- di Michele earina foto di -VJHJ #BldFllJ

ABaligubad­le non piove da tre anni. E si vede. Oltre il piccolo cimitero, nella luce accecante e polverosa del mezzogiorn­o, c’èunadistes­adi microscopi­che costruzion­i che chiamarle capanne sarebbe un compliment­o. Sono fatte di teli, rare coperte, sacchetti di plastica, pezzi di legno tenuti insieme da cordicelle di fortuna. È un villaggio separato dal villaggio. Ospita centinaia di persone, quelle che soffrono di più, quelle che hanno perso tutto. Sonogli “sfollati dellasicci­tà”. Anzi lesfollate. Quando arrivi, dopo aver attraversa­to sul gippone una savana ormai desertica (« qualche tempo fa qui durante la stagione delle piogge era tutto verde e l’ erba era alta fino alg inocchio» racconta Ahmed Mohamoud, la nostragui dadi Ac ti on A id ), sembra che l’accampamen­to abbia soltanto la polvere come abitante. Poi, a poco a poco, escono allo scoperto bambini striminzit­i e donne dai vestiti sgargianti e il volto segnato. Gli uomini sono via, lontano, a cercare lavoro nella brulicante città di Har gei sa. E loro qua, senza un’ ombra, una fonte, con tutto il magro guardaroba ad dos--

so, a cuoce redi giorno e gela redi notte. Sonono madida generazion­i, famiglie di pastori che si muovono con le greggi e fanno scuola ai piccoli grazie ai racconti della tradizione orale tramandata dai genitori ai figli. Gente orgogliosa, autonoma, abituata a non chiedere niente. Eranoricch­i, secosì sipuòdire. Ma la loro unica ricchezza è svanita con l’ acqua. Le prime a morire sono statele pecore, po ile capre. Quando muoiono anche i cammelli, vuole dire che è davvero dura. Chec osaci può essere, di peggio, dellascomp­arsa delle navi del deserto ,200 dollari a capo il valore di mercato, animali capaci di resistere più di un mese senza bere e pronti arif orniredi latte una coorte di sette figli? Chiediamo a queste donne che cosa ci può esse redi peggio che vivere in questa polvere. Alcuni secondi di silenzio, e poi una giovane avvolta in un telo blu notte alza lamano con timidezza, quasi scusandosi. «Ahmed, il mio figlio più piccolo, aveva due anni. Anche lui l’ha portato via la siccità».

Ivolti fotografat­i da Luigi Baldelli sono rare cartoline dal cuore del Somaliland. Volti mai disperati di donne che resistono, sorelline velate che curano come giocattoli preziosi le ultime caprette, giovinette che camminano per chilometri con le taniche gialle verso la benedizion­e di un pozzo. Sono storie di un popolo risorto dalla guerra negli anni Novanta del secolo scorso, con le proprie gambe. Senza grandi aiuti da parte della comunità internazio­nale, che per paura di uneffett od omino non ha mairi conosciuto l’ indipenden­za di questo spicchio di Corno d’ Africa, il suo pacifico distacco dal corpo devastato della più vasta Somalia con capitale Mogadiscio.

Colpisce, l’etichetta di “Paese che non c’è”. Ancora di più colpisce che il “non pervenuto” Somaliland sia lo specchio di un’Africa virtuosa, “il Paese più democratic­o del continente”, che non si scanna tra fazioni opposte almomento delle elezioni. Il Paese che ha appena approvato una legge contro lo violenza sessuale, cheprevede­fino a 30 annidi car-

Sono famiglie di pastori che si muovono con le greggi e insegnano ai piccoli con i racconti della tradizione orale

hl governo ha appena approvato una legge contro la violenza sessuale, che prevedefin­o a 30 anni di carcere

cere per stupro (in Italia la pena va da cinque a dieci anni). Non si scanna, ma rischia di asciugarsi. Morso dalla peggior siccità amemoriadi donna: inmolti villaggi delSomalil­and sono proprio le voci femminili le fonti (mai riarse) della tradizione orale. E dunque dei ricordi, belli e brutti. Nel campo profughi di Karasharka la poetessa Isra paragona la siccità a qualcosa che« strappai vestiti », lasciandol­e persone« spoglie come alberi spinosi ». A Dhinbiriya­ale lac antri ceNimos piega che non è ancora tempo dimettere inversi la sofferenza di queste stagioni senza pioggia. «Quando passerà, la canteremo».

A Urgusan invece la signora Hawa Ali Saleban accoglie i visitatori declamando una lirica appena composta, sugli uccelli neri che volteggian­o sopra i laghi prosciuga tinella boscaglia e vogliono portarsi via i figli assetati. Jama Musse Jama, fondatore dello Xarunta Dhaqanka ee Hargeysa (l’unico, meraviglio­so centro culturale laico della capitale del Somaliland), spiega l’importanza di queste presenze :“le poetesse della siccità” si possono collegare a una tradizione che risuona dalla Somalia al Medio Oriente, nella gola dell’Islam e non solo.

Le poesie. Le voci. E i pozzi. La spaventosa emergenza idrica che colpisce questo angolo di Africa è il riflesso di una crisi più ampia. Ma anche della possibilit­à di porvi rimedio. Ci sono organizzaz­ioni non governativ­e internazio­nali, come Action Aid e Oxfam, che stanno collaboran­do con il governo e con le comunità locali per “rispondere” alla siccità. Con loro abbiamo girato il Paese censendo per esempio decine di berkhet, le vasche per la raccolta dell’acqua. Se piove soltanto una volta, come è successo anche durante l’ultima stagione delle piogge, diventa fondamenta­le raccoglier­e l’acqua e preservarl­a il più possibile. La “drought response”, la risposta alla siccità, richiedeun­occhio alla tradizione e l’altro all’innovazion­e. Con Umalkhayr Mohammed Ali passiamo dai villaggi che sono teatro di un progetto pilota che Oxfam sta facendo attecchire nella zona intorno a Burao, il maggiormer­cato di bestiamede­l Paese, fortemente colpito dalla carestia. Piccoli progetti agro-pastorali che, ettaro per ettaro, vedono l’introduzio­ne di coltivazio­ni nella vita di pastori abituati da secoli a contare soltanto sul bestiame. Sembrafaci­le, manonècosì: «Perchévaco­ntro la legge antica della proprietà collettiva della terra e dei pascoli» racconta Amalkhayr. «In un villaggio per esempio hanno rifiutato. Mi hanno detto: “Abbiamo paura che l’agricoltur­a porti con sé la guerra”». E invece a Kudbiga, presso una comunità che si rifà all’Islam delle origini, è arrivatala sorpresa più promettent­e: «Loro, in teoria così conservato­ri, hanno accettato l’innovazion­e. Anzi, di più. Oltre al campo di pannocchie, ci hanno chiesto se potevamo aiutarli a seminare qualche ortaggio ». Ortaggi: un miraggio, nella luce secca del Somaliland.

 ??  ?? A sinistra, un pastore a Kudbiga con il suo gregge di capre. Sotto, Ulusan, un gruppo di donne in un campo per rifugiati interni.
A sinistra, un pastore a Kudbiga con il suo gregge di capre. Sotto, Ulusan, un gruppo di donne in un campo per rifugiati interni.
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 ??  ?? Dhinbiriya­le, Somaliland. Una donna con lF sVF  HlJF preleva l’acqua dal pozzo situato a quattro chilometri da casa.
Dhinbiriya­le, Somaliland. Una donna con lF sVF HlJF preleva l’acqua dal pozzo situato a quattro chilometri da casa.
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Ulusan, una donna cammina per un chilometro dal campo profughi al pozzo per prendere l’acqua.

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