Corriere della Sera - Io Donna
L’ARTE SALVERà IL KURDISTAN
Di VivianaMazza
Lamiavitaeilmiolavorosonosempre stati tormentati da due temi, la politica e laguerra» diceWalidSiti a Io donna. «Sono curdo, cresciuto inunapiccolacomunitàtralemontagne del Kurdistan che ha sofferto immensamente. Anni di guerra e di distruzione hanno portato un profondo senso di ingiustizia e hanno ucciso la speranza». Nelle opere di questo artistadiDohuk(Iraq) rifugiatonelRegnoUnito, esibite in collezioniprestigiosedelMetropolitanMuseumdiNew YorkedelBritishMuseumdiLondra, sonolemontagnea raccontarelastoriadiunpopolo. Èunodegliartisticontemporanei curdi cui è dedicato il piùrecente catalogo del progetto ImagoMundi promosso da Luciano Benettonper «mapparelecultureumane» (lecollezionifinora sono 150 e hanno coinvolto più di 25 mila autori di tele rigorosamentedi 10x12cm). Gliartisticurdisono115, vengonodaTurchia, Iraq, Iran, Siria, Armenia edalladiaspora: idue più famosi - Walid SitieHiwaK- lavoranosoprattuttosuincaricodigrandi istituzionidell’artemondiale(BiennalediVeneziaeDocumenta, peresempio) e le lorooperevalgonofinoa100 mila euro, ma ci sono anche tanti giovani emergenti. È un progetto unico perché racconta l’arte del più grande popolo al mondo senza uno Stato: 40milioni di persone inuna regione di circa 500 mila chilometriquadrati con aspirazioni indipendentiste sin dall’Ottocento. E diventeràunamostra, probabilmentegiàinprimavera. Èladimostrazioneche, malgradolasuaassenzadallecartegeografiche, ilKurdistanc’è, almenonelmondodell’arte. Metterli insieme è stata di per se un’operazione rivoluzionaria. Nel 2009, alla Biennale di Venezia, il progetto Planet K radunò sotto la bandiera culturale del Kurdistan artisti provenienti da quattro Paesi, ma non ci sono state altre iniziative di rilievo. «Questa collezione è il primotentativodi riunireartisticurdi di tuttoil mondo» cidice entusiastaErkanÖzgen, famosoperun video del 2003 ( Road to TateModern), realizzato con il collega Sener Özmen in cui simettono l’uno a cavallo e l’altroadorsodimulo, comeDonChisciotteeSancho Panza, edalSud-EstdellaTurchiapartonoalla ricerca della prestigiosa galleria londinese. Temiricorrentisonol’esodo(esistonobenottoparolecurde per definirlo), lamemoria, l’identità sdoppiata tra appartenenzaetnicaenazionale, comespieganoicuratori Claudio Scorretti e Irina Ungureanu. L’artista Khadija Baker, curda-sirianacheviveaMontreal, reputaimpor-
tantecheilcatalogosiascrittoneidueprincipali dialetti curdi, ilkurmanjieilsorani, oltrecheiningleseeinitaliano: «Ascuolanoncierapermessoparlarelanostralingua. NonpotevamocelebrarelafestadiNewroz(ilnuovo anno), nédarenomicurdiainostrifigli, dovevamosempredimostrarciprontiaservireilpartitoBaatheil regime, altrimenti venivano puniti, esclusi, privati dei nostri diritti. C’erauna forza che spingeva contro lanostra identità curda all’interno di quella siriana».
Scopriamo autori della diaspora, comeAzad Nanakeli di Erbil che vive a Firenze e ha partecipato tre volte allaBiennale di Venezia, ognivoltapercontodiunpadiglionediverso (curdo, iracheno, iraniano); e Pasrastoo Ahovan, che da NewYork, con una tela sfilacciata come i ricordi intitolataPatria, esprimenostalgiaper la sua città, Kermanshah in Iran, colpita da un terremoto che lascia tuttora molti senzatetto e da recenti proteste anti-regime. Moltissimi altri artisti restano in patria, nonostanteledifficoltà. InTurchiaaffrontano l’oppressione del regime di Erdogan. «Francamente, la sopravvivenza è la nostra priorità» ci diceÖzmen. «Centinaia di uomini e donne di cultura, giornalisti, scrittori e attivisti della società civile sono inprigione, moltihanno origini curde. Sono azioni paragonabili a quelle diMussolini». L’arte di Diyarbakır è «comeuna bambina coraggiosa - aggiunge - che gioca alla campana all’ombra della guerra e della politica». InIraq, doveSaddamHusseinordinòilgenocidiodeicurdi nel 1988, gli artisti furono inprima linea: pittoripeshmergaperserolavitacontroilregimeBaath; altri furonouccisi e torturatidalle forze speciali di polizia. Dagli anni Novanta si riuniscono nella sala da tè Sha’ab di Suleymaniyya, critici anche nei confronti dei due partiti politici curdi che oggi si contendono il poterenellaregioneautonoma. Eraunmondomaschile, finchénel 2009RozgharMustafa (la cui opera Un foulard
emezzoappare incopertinanel catalogo) ha cominciato a invitare alla sala da tè le colleghe donne. Nel 2011, quandoigiovanimanifestaronoinpiazzacontrolacorruzionedelgoverno, Rozhgarchieselorodiportarecon sébambolediplastica, persollevareiltemadell’assenza didonnedallasferapubblica. Ledonnecurdesonostate esaltate per aver preso le armi contro l’Isisma - sottolinea KhadijaBaker - per anni si sono battute anche per _ diritticomelavorareecontinuareglistudinellelorosocietà conservatrici.
Era un mondo maschile: la svolta partì dalla sala da tè di una città irachena