Corriere della Sera - Io Donna
A SORPRESA, ARTURO MARTINI
Pare impossibile per un autore così famoso e studiato (oggi protagonista della mostra alla Fondazione Prada), eppure da un edificio in restauro a Como è saltata fuori un’opera inedita. Dolente e potente
Così avanzati sono gli studi sull’arte del Novecento, così approfondite le ricerche su ogni figura di primo e anche di secondo piano, che appare impensabile l’apparizione di un inedito di uno dei grandi maestri, il primo scultore del Novecento, cresciuto nell’ambiente di Valori plastici (la rivista di critica d’arte, ndr): Arturo Martini. Martini è un classico in equilibrio fra Giotto e Picasso, che riesce mirabilmente a fondere in una sintesi irripetibile. Dopo la formazione a Treviso e a Venezia, fu prima a Monaco e poi a Parigi nel 1911, sempre legato a forme di espressione tradizionali, superando il naturalismo ottocentesco e cercando un’essenza della forma nella scultura classica, nel mondo etrusco, nel Rinascimento. Nel 1926 risulta così fra gli scultori dell’esposizione “Novecento” e nello stesso anno sarà anche alla Biennale di Venezia. Nel suo percorso - esprimendosi nel legno, nella creta e nel bronzo - incrociamo capolavori come Il bevitore (1926), La Pisana ( 1930), La sete (1934), Donna che nuota sott’acqua (1942). Parallelamente si applica a numerose opere pubbliche in pieno regime fascista, per il Palazzo di Giustizia a Milano, per la città universitaria di Roma, nel Palazzo Liviano all’università di Padova. Mostre, studi, comme- morazioni accompagnano la restituzione critica della grandezza di Arturo Martini, presente come indiscusso protagonista nella mostra Post Zang Tumb Tuuum. Arts life politics: Italia 1918-1943 alla Fondazione Prada a Milano. Difficile pensare che di un autore così ammirato e studiato si possa trovare nell’androne di un edificio in restauro in prossimità del Museo della seta di Como un’opera monumentale inedita e sconosciuta. Me la segnala il direttore del Museo Paolo Aquilini. Si tratta di un grande bronzo di cm. 210x190, rappresentante una Deposizione nel più schietto stile monumentale, con il gruppo dei dolenti in piedi e il corpo del Cristo che viene deposto nel sepolcro, costruito con blocchi diversi di lastre di pietra.
Tutto è semplificato. Il gruppo esprime un sentimento di dolente potenza con una composizione ritmata e segmentata in cui si sente la tradizione toscana tra Trecento e Quattrocento, tra Giotto e Donatello. La semplificazione, la geometrizzazione, il pathos dei gesti ci riportano, nella pittura coeva, a Carlo Carrà e Gisberto Ceracchini, con una sintesi e un ordine che è raro e difficile trovare. Insomma, un capolavoro del primo scultore del Novecento, riemerso a Como. Sarà opportuno restituirlo alla pubblica conoscenza, meditando anche sulla singolarità della scoperta.