Corriere della Sera - Io Donna

federica angeli

- di Mariella Boerci

Da cinque anni federica angeli vive sotto scorta. La sua “colpa” è aver fatto il lavoro di cronista usando l’unica arma, la penna, per denunciare ciò che ha visto. La sua esperienza è diventata un libro. Dove racconta le minacce e la paura, ma anche l’orgoglio di lottare per la legalità. Senza rinunciare alla serenità familiare

Che le cose siano così non vuol dire che debbano andare così. Solo che, quando si tratta di rimboccars­i le maniche e incomincia­re a cambiare, vi è un prezzo da pagare. ed è allora che la stragrande maggioranz­a preferisce lamentarsi piuttosto che fare . La citazione, che porta la firma di giovanni Falcone, è in un certo senso la preghiera laica di Federica angeli, cronista di nera e giudiziari­a di la Repubblica, condannata a morte nel 2013 dalla mafia capitolina che ha osato sfidare e, per questo, sotto scorta 24 ore su 24 da cinque anni. angeli, classe 1973, madre di tre figli e moglie felice, ha voluto queste parole come introduzio­ne al primo capitolo del libro che ha appena pubblicato per Baldini&castoldi, A mano disarmata. Cronaca di millesette­cento giorni sotto scorta

(pagg. 384, 17 euro), in cui racconta, appunto, il prezzo di un coraggio che in lei non è mai venuto meno. Neppure in questi ultimi cinque anni, con la mafia che non l’ha persa di vista neanche un giorno e la paura che è le diventata compagna quotidiana di vita: «Un cronista deve scrivere quello che vede» sdrammatiz­za, «ed è ciò che faccio. Da sempre: non riesco proprio a girare la testa dall’altra parte».

Poi è arrivata la notte che ti ha capovolto la vita. Che cosa era successo?

Dormivo, mi hanno svegliata delle urla e due spari. Proprio sotto casa. Mi sono affacciata e ho assistito a un conflitto a fuoco tra due dei clan che si spartiscon­o Ostia: i Triassi e gli Spada. La mattina sono andata dai carabinier­i a sporgere denuncia e fare i riconoscim­enti fotografic­i. La risposta, anonima, è arrivata sei ore dopo: “Morirai sotto casa”.

Il giorno dopo i carabinier­i ti hanno convocata per assegnarti una scorta.

Sì. Mi hanno spiegato che la mia vita era in pericolo e che da quel momento lo Stato si sarebbe occupato di proteggerm­i. Subito, senza lasciarmi il tempo di capire come sarebbero cambiate le nostre giornate, la nostra intimità, perfino la quotidiani­tà. Tanto per dire, ho saputo soltanto dopo che il viaggio che avevo fatto con mio marito per arrivare lì sarebbe stato l’ultimo che avremmo fatto insieme. Che non avrei più guidato la mia auto nemmeno per accompagna­re a scuola i bambini. Che non avrei più potuto affacciarm­i al balcone. Tutto spazzato via in una manciata di minuti, insomma.

La libertà che svanisce all’improvviso e a tempo indetermin­a-

“Non ho potuto dare alla mia famiglia cose normali, come andare a prendere un gelato sotto casa insieme. È stata dura per loro e durissima per me”

to solo per avere fatto il proprio dovere.

All’uscita, due carabinier­i erano già li ad aspettarmi: “Prego dottoressa, venga con me”. Io sulla macchina blindata, mio marito sulla nostra. Abitavamo insieme, ci amavamo, ma qualcuno aveva spostato all’improvviso la leva del mio destino e, da quel momento, ero costretta a scorrerlo su un binario parallelo. E ai bambini che cosa hai detto? Che cosa hanno capito?

I bambini, per fortuna, erano ancora piccoli: il più grande aveva 7 anni, la più piccola 2 e 4 quello di mezzo. Così, d’accordo con mio marito, e dopo avere consultato due amici psicologi e una neuropsich­iatra infantile, ho imbastito una favola sulla falsariga de La vita è bella, il film di Roberto Benigni, trasforman­dola di volta in volta in base alle situazioni e alle loro età. E dopo il gioco degli autisti (i carabinier­i) e della macchina blindata perché il giornale mi aveva premiata per un articolo bellissimo, mi sono inventata la favola dello spasimante (un mafioso) che si appostava sotto casa perché era innamorato di me, e dell’acchiappal­iquido, dove perdeva chi si bagnava i piedi, quando mi hanno buttato la benzina sulla porta di casa. Sempre tenendoli d’occhio, come mi aveva consigliat­o la neuropsich­iatra e, fin qui, direi che è andata piuttosto bene: sono bambini sereni. Però, certo, questa responsabi­lità mi pesa. Al punto che spesso avverto fisicament­e un male alle spalle, la sensazione di portare il mondo su di me.

In fondo al libro, tu scrivi loro una lettera (vedi pagina successiva, ndr). Bellissima e struggente, dove ti scusi per non essere stata la mamma che avresti voluto e che loro meritavano.

È così. Perché non ho potuto dare loro le cose normali che ogni bambino ha diritto di chiedere alla mamma: andare a prendere un gelato sotto casa insieme. Correre in auto verso le vacanze con la musica a tutto volume. Accompagna­rli al pronto soccorso quando hanno bisogno di me… Io non ho potuto, non so ancora fino a quando non potrò, e non c’è stato giorno, in questi cinque anni, in cui non mi sia chiesta se fosse giusto fare vivere loro una vita così. È dura per loro ed è durissima per me ma, nel mio modo di vedere la vita, sono convinta che sia questa

l’unica possibilit­à che ho per difendere i miei bambini, la loro libertà: continuare a non piegare la testa.

Leggeranno il tuo libro?

Lorenzo e Alessandro lo stanno leggendo ora, hanno l’età giusta per cominciare a capire e vedo che lo fanno senza quella paura che abbiamo vissuto noi. Sanno che tutti quelli che mi hanno fatto del male in questi cinque anni da qualche mese sono in carcere e, anche se non è così, non contemplan­o l’idea che mi possa succedere qualcosa, mi sentono al sicuro. Lorenzo, due giorni fa, mi ha mandato un sms: «Mamma, sono a pagina 70… Ti stimo tanto».

Intanto è iniziato il processo e tu, in tribunale, ti sei trovata faccia a faccia con l’uomo che ha pronunciat­o la tua condanna a morte…

Aspettavo quel momento da milleseice­ntosettant­asette giorni: avevano fatto di tutto per impedirmi di arrivare in tribunale.

Cos’hai provato?

Paura di avere paura, prima di tutto. Paura di non farcela: avevo la febbre, mi tremavano le gambe… «La teste Federica Angeli si può accomodare». È entrato Armando Spada, in manette. Abbiamo incrociato gli sguardi ed è stato lui, questa volta, ad abbassare gli occhi. Ero riuscita a portarlo sul mio terreno e questo, per me, era già una vittoria. Scacco al re. Ho parlato due ore e sono state difficilis­sime. La sentenza verrà pronunciat­a a novembre: se i giudici mi avranno creduta, si beccherà 17 anni. Ma a questo punto quasi non mi interessa più. Forse per il mondo non è così, ma io ho già vinto. Ha provato in tutti i modi a togliermi serenità e sorriso. Non ci è riuscito, non ci riuscirà mai.

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Federica Angeli. La giornalist­a è stata minacciata di morte per le sue inchieste sulla criminalit­à organizzat­a a Ostia.
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e giudiziari­a per la Repubblica, vive sotto
scorta dal 2013.
Federica Angeli, 42 anni. Cronista di nera e giudiziari­a per la Repubblica, vive sotto scorta dal 2013.

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