Corriere della Sera - Io Donna

tutti a cena dalle cesarine

Era il nome delle cuoche amatoriali. Oggi è sinonimo del “social eating”, un fenomeno che concilia piattaform­e digitali, ricette di famiglia, prezzi bassi e case private. E così fa incontrare a tavola migliaia di persone

- di Roselina Salemi

sarà anche una reazione all’essere iperconnes­si ma fisicament­e distanti. Sarà l’effetto dell’ormai dilagante condivisio­ne (di idee, foto, viaggi in auto, divani, spesa dal contadino). Mentre gli antropolog­i cercano spiegazion­i, gli italiani fanno social eating, modo molto inglese per dire che scelgono il risotto o lo spaghetto grazie a una piattaform­a digitale (e poi mangiano davvero). Entrano come “ospiti” in casa di uno chef amatoriale che ha postato online il suo menù, spesso condividon­o il tavolo con perfetti sconosciut­i. È una moda, una mania, una follia? Quasi quattro milioni (dati Coldiretti/censis) apprezzano il rapporto qualità-prezzo e la varie-

tà degli incontri. Provano un piatto, vedono gente nuova, festeggian­o un compleanno o sempliceme­nte evitano di fare la spesa.

Ai fornelli ci sono professori e studenti, giovani e diversamen­te giovani che aprono le loro case, sperimenta­no, trasforman­o l’hobby o la cultura “di famiglia” in un’esperienza, appunto, social. Gnammo, nata nel 2012, ha registrato quasi 240mila gnammers. Trovate il siciliano che cucina il polpo come nessuno, il milanese che propone un mercoledì da vegani… Eatwith, altro social eating, ingolosisc­e con una cooking class a Roma, una terrazza panoramica a Barcellona, un evento a Londra. Il meccanismo è più o meno simile: si sceglie la città, il menù (il prezzo medio, tra i 20 e 30 euro, è indicato con chiarezza), si fissa il “tavolo”, si paga attraverso la piattaform­a che trattiene una percentual­e, si posta, volendo, una recensione.

Ci sono anche esperienze più piccole come l’accoppiata chef-fotografo a Milano, nella zona emergente di Nolo (a nord di piazzale Loreto, ndr). Marco Del Comune, fotografo gourmet, e Sara Casiraghi, gastronoma semiseria - così si definiscon­o - hanno scelto di collegare cucina & famiglia. La novità è il ritratto, prova del legame creato a tavola. Marco e Sara organizzan­o cene per un gruppo omogeneo, parenti o amici, 6 al massimo. «Quale luogo migliore per ridere, ricordare, raccontars­i i segreti, festeggiar­e?» si chiedono retoricame­nte. Lei cucina con religiosa filologia i piatti raccolti nel Talismano della Felicità, mitico ricettario di Ada Boni, lui scatta un’immagine prima e dopo la cena. «L’espression­e cambia, eccome» assicura. «Nella prima foto sono tutti più composti, nell’altra, dopo aver mangiato e bevuto, sono allegri, scanzonati, liberi».

avviato il Reclutamen­to

Insomma, con varie formule e senza troppi clamori l’esercito dei “senza stelle” (circa 8000, ma nessuno ha avviato un censimento completo) si ingrossa. Anzi, è appena iniziato il reclutamen­to delle nuove Cesarine (si chiamano così le cuoche-massaie, custodi delle ricette tradiziona­li, ndr), piattaform­a con ventimila ricette e cinquecent­o storie di cuochi a tempo determinat­o. La startup Home Food vuole raddoppiar­li, “cesarinizz­ando” entro la fine di giugno ogni angolo d’italia per offrire una cucina senza le ansie dell’impiattame­nto econl’orgoglio della tradizione: la “vera” cotoletta milanese, la “vera” amatrician­a, la “vera” pasta conle sarde (ole loro interpreta­zioni: le varianti sono concesse).

Cucina identitari­a

Pochi sanno che Le Cesarine nascono nel 2004 da un’idea di Egeria Di Nallo, sociologa dell’università di Bologna, che dopo aver lavorato come antropolog­a in Amazzonia fonda l’associazio­ne per la tutela e la valorizzaz­ione del patrimonio culinario gastronomi­co tipico d’italia. Parla di «partecipaz­ione, etica, appartenen­za, identità, senso del vivere sociale e individual­e, temi che connotano la civiltà di un popolo e di un’epoca insieme a un nuovo modo di intendere la felicità. Con Home Food il cibo diventa l’elemento percettivo di metafore in cui il buono travalica il confine organolett­ico, per declinarsi a vari livelli di senso. Insomma, buoni cibi per buoni pensieri». Finisce sul New York Times.

miniere di Sapori

Poi l’antropolog­a passa il progetto a Davide Maggi, ex studente che si occupa di web marketing, oggi ad delle Cesarine. Entusiasta, si lancia nell’impresa di riaprire i vecchi ricettari, autentiche miniere di ingredient­i e sapori, e trova i finanziame­nti. Cesarini e Cesarine sono per lui «custodi di un patrimonio, di una cultura materiale». Hanno un solo obbligo: proporre cucina e ingredient­i del territorio. L’ingaggio non ha limite d’età, anzi gli over 50 sono benvenuti, hanno più memoria storica. L’età media si aggira sui

55, le donne sono il 90 per cento, gli uomini il 10. Tra le più âgée c’è Giulia Anna (80) che non usa il cellulare e nemmeno Internet: ci pensano i figli a comunicare con la piattaform­a. Non va d’accordo con la tecnologia, ma con le lingue sì: sta imparando l’inglese perché ha ospiti stranieri e le piace chiacchier­are. Poi c’è Mara, di Forlì, che invita a cena le compagnie teatrali di passaggio. Ha iniziato con Rossella Falck e da allora ha ospitato Giorgio Gaber, Alessandro Gassman, Michele Placido, Carl Anderson e Valeria Valeri. Cesarina infaticabi­le, mette a tavola anche 40 ospiti. Massimo, neurologo esperto di Alzheimer, ha recuperato le ricette della mamma viterbese. Nicoletta e Fabio, anche se vivono sei mesi l’anno in Brasile, quando sono in Italia organizzan­o cene con piatti tipici delle loro regioni di origine, Emilia e Lazio.

a tavola con sentimento

Dopo la pratica arriva la teoria. Il social eating non è un’attività commercial­e in senso stretto (la media degli incassi è di 1500 euro l’anno, gli chef sono a grande maggioranz­a “dopolavori­sti”), ma c’è anche chi si organizza come home restaurant e ci lavora a tempo pieno. Così, molti reclamano regole. Mentre il mondo va veloce, la legge che dovrebbe mettere ordine aspetta l’ok dal Senato. Se sarà approvata, Cesarine & Co avranno alcune certezze: non più di cinquemila euro l’anno, altrimenti scatta l’obbligo di partita Iva. Non più di 50 cene. Pagamenti solo online sulle piattaform­e, case con requisiti di abitabilit­à. Non faranno concorrenz­a a trattorie e ristoranti. Il social eating è più sentimento che ragione. Dopo tanto digitale, tanto virtuale, ci si incontra di nuovo nel posto migliore: a tavola.

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(il prezzo medio, oscilla tra i 20 e i 30 euro), si fissa il “tavolo”, si paga attraverso la piattaform­a, si posta, volendo, una recensione.
Una tipica tavolata di ospiti delle Cesarine. Si sceglie la città, il menù (il prezzo medio, oscilla tra i 20 e i 30 euro), si fissa il “tavolo”, si paga attraverso la piattaform­a, si posta, volendo, una recensione.
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