Corriere della Sera - Io Donna

sono cose della vita

- di Barbara Stefanelli

Ho conosciuto be bevi oche era poco più di una bambina. era venuta invia solferino per un’ intervista alla Gazzetta dello Sport e poi, con papà Ruggero, aveva allungato la visita passando in Sala Albertini, al Corriere. Seduta in carrozzina, tendeva la sua mano di plastica per salutare queste persone che erano lì davanti a lei senza sapere ben echi fosse. E che cosa sarebbe diventata in pochi anni. Allora lei era“solo” unapr omessa della schermapa ra lim pica, biondina, occhi azzurri, braccia e gambe finiti in pasto alla meningite. Noi, un po’ storditi, la guardavamo in faccia per capire dove si originasse quel suo magnetismo da puma accovaccia­to ma già pronto a drizzarsi e saltare.

Simona Atzori, invece, l’ho vista per la prima volta sul palco della Triennale, durante la seconda edizione del Tempo delle Donne, nel 2015. Ballava e sorrideva in sottoveste bianca, tra punte, polpacci, addominali di ferro: il corpo come il bozzolo di una farfalla, capace di riempire l’intero spazio vitruviano attorno a sé contando solo sugli arti inferiori. E poi quel suo gesticolar­e, guidare, dipingere con i piedi - e le dita dei piedi - che dopo pochi minuti nessuno nota più. Si chiama body language, il linguaggio universale di un corpo sciolto, e lei lo usa fino in fondo. Mandare un bacio con l’alluce significa mandare un bacio. Le storie di Bebe e Simona non hanno molto in comune. Sono giovani donne profondame­nte diverse, che praticano discipline anche lontane, che hanno fatto strade parallele conquistan­dosi ogni centimetro di terreno pubblico - medaglie, libri, programmi e spettacoli - in un Paese che a lungo ha preferito considerar­e e rendere invisibili le persone con disabilità. Tuttavia una cosa vale per entrambe: sono forti perché a loro non interessa quello che non hanno mai avuto o non hanno più, ma quello che hanno adesso - come disse il coreografo Daniel Ezralow osservando Simona. Non conoscono retorica, né giri a vuoto, perché ogni passo avanti è pensato, voluto, esercitato. Sono Sensibili Guerriere - come proponeva il titolo di una raccolta di saggi, a cura di Federica Giardini, dedicata alla forza delle donne - che hanno imparato a vivere nel proprio sguardo, non in quello altrui.

Bebe Vio e Simona Atzori sono giovani donne profondame­nte diverse. Una cosa le accomuna: sono forti perché a loro non interessa quello che non hanno mai avuto o non hanno più, ma quello che hanno adesso

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