Corriere della Sera - Io Donna
signore di palazzo
C’è chi non vede l’ora di andare in Parlamento e chi, invece, accoglie con gioia l’idea di doverlo abbandonare. È il caso di Claudia Maria Terzi, classe 1974, leghista di ferro: quasi non ha fatto in tempo a essere eletta alla Camera, che ha già dovuto dire addio a Montecitorio. Ma lo ha fatto senza rimpianti perché Salvini ha voluto che le fosse affidato un incarico di peso: assessora alle Infrastrutture e ai Trasporti della Regione Lombardia. Pardon, assessore, lei preferisce farsi chiamare così: «Le battaglie per la declinazione degli incarichi al femminile non ci interessano». Già, le donne della Lega sono allergiche a quello che definiscono il “boldrinismo”, perché, sostengono molte di loro, «non si può imporre la parità assoluta tra uomo e donna, visto che i ruoli sono distinti e che ci sono cose che le donne fanno meglio, e cose più adatte agli uomini».
Quale che sia la sua opinione sulle quote rosa e sulle lotte femministe, Terzi è una politica in ascesa. Lo è di sicuro nella Lega, dato che nella giunta lombarda le è stato assegnato un assessorato di tutto rispetto. Per questo, vista la incompatibilità dei due ruoli, lascia la Camera. Una scelta che non le pesa affatto per due motivi. Primo (non in ordine di importanza), perché Terzi si dichiara a “disposizione” del suo partito. E se il “capo” le dice di tornare subito in Lombardia lei ci torna all’istante. Secondo, perché ha una figlia di poco più di tre mesi, Bianca, e un marito poliziotto, e non essere costretta a dividersi tra la capitale e la famiglia le fa piacere.
E poi, per una nata vicino a Bergamo, che ha costruito la sua carriera politica sul territorio (è stata prima sindaca di Dalmine e poi assessora dell’ambiente con Maroni), abituarsi ai «tempi romani meno rapidi di quelli lombardi» era difficile.