Corriere della Sera - Io Donna
sono cose della vita
È stato straordinario ascoltare le donne che un giorno, lontano 25 anni o pochi mesi, hanno scoperto di avere quello che un tempo si nominava solo aggrappandosi alla perifrasi “male incurabile”
Concettina dice che l’esperienza della malattia e della guarigione «è stata bellissima, ho tagliato via un sacco di cose inutili, ho ricominciato a respirare aria fresca». Molte ricorrono alla parola “sfrondare”. E subito - in mezzo alla platea piena e allegra di un teatro milanese - prende forma l’immagine di un albero affaticato da troppi rami, rametti, foglie che si snellisce, si allunga e presto darà frutti migliori. Laura ammette che, prima del cancro, «non pensava di essere una persona importante». Ma adesso - e per sempre - lo sa. Lella si infila nello spazio, invisibile ma infinito, che corre tra le parole “curarsi” e “avere cura”. Di sé. Trascorrono ore: si alternano facce, sorrisi, battute sulle “tumorate”, poche lacrime, accenti di regioni italiane, professioni. Como, Napoli, la Brianza, Catania; un’ex professoressa di tedesco, un’avvocata, una ballerina. Quasi tutte raccontano di aver fondato “associazioni” - forse, subito dopo “sfrondare”, è “associazioni” la password del giorno. E comunque so- no due passaggi in sequenza: prima creo spazio tutt’intorno a me, lo libero, poi cucio nuove alleanze.
È stato straordinario ascoltare le donne che un giorno, lontano 25 anni o pochi mesi, hanno scoperto di avere quello che un tempo si nominava solo aggrappandosi alla perifrasi “male incurabile”. Stra-ordinario perché è stato come balzare fuori dai cerchi chiusi della nostra sana routine. Dentro i quali si ingarbuglia il filo delle priorità, delle richieste, delle telefonate lasciate in sospeso, dei sensi di colpa. Sono 11 anni che lo Ieo, l’istituto Europeo di Oncologia, organizza questi che non sono convegni, piuttosto raduni, quasi feste, tra le donne che hanno avuto il cancro al seno e insieme lo hanno affrontato. Undici anni di vita, di rivoluzione, di navigazione di bolina, risalendo il vento e le cose quotidiane. Scrisse Gina Lagorio: Càpita da giovani.
« Càpita da vecchi. Càpita al buio. Càpita al sole. Càpita che suoni positivo .
_ » E anche volersi bene - dopo un trauma, dopo la frustata secca, il proiettile nella notte - è giusto che càpiti.