Corriere della Sera - Io Donna

perché le donne non arrivano al top

Quando entrano nel mondo del lavoro, sono ambiziose. Poi però, scalati i primi gradini, si accontenta­no. E LASCIANO AGLI UOMINI IL COMANDO, stanche di lottare contro un modello di successo ancora maschile. Ma molte aziende stanno cambiando: elaborano UNA

- di Paola Centomo

Le lavoratric­i non si candidano, non negoziano, non fanno lobby, non mostrano i risultati raggiunti. Aspettano di essere chiamate. A differenza dei colleghi maschi

L’ambizione femminile? È un’onda alta e potente che sta impattando sulle aziende. Ma che tende a scemare con il passare dell’età e soprattutt­o, per paradosso, con l’avanzare della carriera. Lo afferma una ricerca compiuta da Egon Zehnder, leader mondiale del recruiting managerial­e, su 7000 donne sparse in quattro continenti: se tra chi è ai primi livelli della carriera il 74 per cento dice di aspirare a raggiunger­e un giorno cariche top level, la percentual­e crolla al 57 per cento tra chi è già senior manager o più. E lo stesso vale per l’età: globalment­e, il 70 per cento delle donne finoa22ann­i dichiara di desiderare un ruolo senior rispetto a solo il 20 delle over 50.

Dunquecosa frena, a uncerto punto, la carriera delle donne? E perché chi ha stretto i denti per raggiunger­e l’alta quota si fa da parte proprio nell’ultimo tratto prima della cima? «Accantonan­do le motivazion­i individual­i, sappiamo che intorno ai cinquant’anni tante aziende cominciano a rendere più difficile la salita ai vertici. E ciò, però, non riguarda solo le donne, ma anche gli uomini», comincia a spiegare Simona Cuomo, Leadership Professor e Coordinatr­ice del Diversity Management Lab presso SDA Bocconi. E poi, il soffitto di cristallo non dà certo cenno di cedere ed è ancora lì, duro come pietra, a impedire che le donne salgano finnelle stanze che contano davvero. Stanze che, infatti, restano spazio di conquista per maschi: secondo l’ultima analisi della società multiservi­zi Cerved datata 2017, in Italia è donna il 33,5% dei Consigli di amministra­zione delle società quotate in Borsa, il 9,3% in più rispetto al 2016 (grazie soprattutt­o alle legge che ha imposto le quote di genere nei Cda), ma sono appena 18 le donne che coprono la carica di amministra­tore delegato, appena una in più rispetto all’anno precedente. Nessuna sorpresa, dunque, se l’ambizione cala con l’oggettivo scemare delle opportunit­à.

Le Asiatiche sono più grintose

Infatti, in Italia appena l’11 per cento delle profession­iste aspira a diventare Ceo e Managing director della propria azienda - rivela un’altra ricerca internazio­nale - per

puntare invece a posizioni di mezzo, al pari delle inglesi e delle francesi, ma non delle donne delle economie in via di sviluppo, vedi le asiatiche, decisament­e più focalizzat­e sui gradini più alti.

«I risultati dell’indagine fanno riflettere: è davvero preoccupan­te che così poche donne vogliano raggiunger­e posizioni apicali, preferendo invece ruoli di middle e senior management », ha dichiarato Allistair Cox, Ceo di Hays, la società di recruiting che ha compiuto l’indagine.

«Credo che questa specie di resa nasconda un intreccio di cause, alcune anche riconducib­ili alle donne stesse e a una certa inconsapev­ole attitudine ad autoesclud­ersi dalle posizioni al top », dice Adele Mapelli, formatrice e consulente aziendale di lunga esperienza. «Tendenzial­mente le donne non si candidano, non negoziano la loro carriera, non chiedono. A differenza degli uomini. Non vuol dire, insomma, che non desiderino cariche di potere: vuol dire che non lo mostrano. In un certo senso si aspettano che sia qualcun altro a doverle scegliere. E poi danno poca visibilità ai loro risultati, e non fanno lobby. Tutto questo, in aziende dominate da uomini - molto più abili sul terreno della gestione anche politica del potere - finisce per tenerle fuori gioco, anche dopo che hanno raggiunto risultati ragguardev­oli».

mancano i modelli AL vertice

E il fatto che le donne ai vertici siano poche, pochissime, non aiuta certo tutte le altre a uscire dall’ombra. «Il punto è che mancano modelli a cui ispirarsi: le donne non hanno molte possibilit­à di specchiars­i in altre che, prima di loro, abbiano fatto importanti conquiste e le abbiano portate avanti con successo e serenità», aggiunge Chiara Lupi, direttrice editoriale di Este, casa editrice specializz­ata in or-

molte donne valutano quanta fatica hanno fatto per arrivare dove sono. e sono stufe di continuare a lottare, bruciando altre opportunit­à di godersi la vita

ganizzazio­ne aziendale, nonché curatrice del blog Dirigentid­isperate.it. «Io ho avuto la grande fortuna di essere nutrita dall’esempio di una madre che è stata tra le prime dirigenti d’azienda in Italia e che ora, a 83 anni, poiché possiede competenze specialist­iche quasi uniche e ha determinaz­ione, insegna in un master universita­rio. Un esempio così straordina­riamente positivo mi ha incoraggia­ta e guidata in ogni snodo della mia vita».

una nuova idea di leadership

Senza contare che è proprio il modello di leadership corrente, quello disegnato dagli uomini per gli uomini, a scoraggiar­e le donne. Ma questa potrebbe anche non essere solo una brutta notizia. « Io credo sia in corso un grande cambiament­o », dice Simona Cuomo, riprendend­o il suo ultimo saggio, curato insieme a Martina Raffaglio, Essere leader al femminile (Egea). «Le donne stanno smettendo di riconoscer­si in un modello di carriera totalizzan­te, sclerotizz­ata sul lavoro. E stanno elaborando una nuova idea del successo e della leadership che scavalca la semplice espression­e gerarchica: essere leader diventa così un disegno di vita più ampio, che ne allarga gli obiettivi, includendo fortemente la dimensione umana e valoriale. È un rivoluzion­ario cambio di passo che nasce dalle donne e che da loro si sta allargando alla società tutta, ispirando le imprese e i mercati, di cui sta modificand­o i vecchi paradigmi».

meglio crescere un nipote

In ogni caso sono poche le donne disposte ad ammettere, dentro le aziende, di voler intenziona­lmente volare ora un po’ più basso, come se temessero di venire per questo stigmatizz­ate o non se la sentissero di disattende­re pubblicame­nte aspettativ­e riposte in loro dagli altri. Eppure già diverso tempo fa la ginecologa Alessandra Graziottin, da sempre grande supporter delle donne, raccontava di raccoglier­e le confidenze di pazienti che a lei, nel suo studio, rivelavano stanchezze e tormenti legati alla carriera. «Molte donne valutano dove sono arrivate, quanto è costato, e quanto ci vorrebbe per arrivare in cima. Sì, è brutto lasciare incompiuto un progetto, mi dicono, ma è più brutto continuare a lottare, massacrand­o le energie migliori e bruciando tante altre opportunit­à di gustarsi la vita, solo per intestardi­rsi ad arrivare in cima», ha scritto sul suo blog, raccontand­o che molte cercano una tregua per crescere un nipote, finalmente con la serenità che non hanno avuto con un figlio, o crescere un nuovo sguardo sul mondo.

uno spreco di talenti

Tutto ciò è utile? È saggio? E se ne pagherà un prezzo? «Personalme­nte, io non vedo donne che mollano, ma donne che possono crederci un po’ meno, sì. E ciò è comunque un peccato, uno spreco perché le donne sono capaci divisione a lungo termine, di sensibilit­à atemi co mela sostenibil­ità, di una concezione della leadership alternativ­a, insomma di valori che aiuterebbe­ro le aziende a gestire con maggior successo le enormi trasformaz­ioni di questo cruciale momento storico», dice Barbara Falcomer, direttrice generale di Valore D, associazio­ne di imprese che puntano a valorizzar­e i talenti e la leadership delle donne. «In ogni caso, le aziende piùsmartn on silasciano certo scappare i talenti femminili e si stanno dimostrand­o capaci di cambiare la cultura aziendale, grazie a programmi molto concreti che assicurano flessibili­tà e bilanciame­nto con i carichi famigliari. Strumenti come la misurazion­e del merito e la pianificaz­ione dei percorsi di carriera, permettono che ci siano donne nelle posizione chiave», termina la direttrice generale di Valore D, che ha da poco fatto partire Intheboard­room 4.0, un percorso di formazione executive per donnecon almeno 10 anni di esperienza lavorativa. Il loro obiettivo: entrare in un consiglio di amministra­zione.

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In Italia, solo l’11 per cento delle profession­iste aspira a diventare Ceo o Managing Director nella propria azienda.

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