Corriere della Sera - Io Donna

BAMBINI SENZA VOCE

- di Massimilia­no Jattoni Dall’asén

Fino a pochi anni fa gli stagionali italiani non potevano portare i loro figli in Svizzera. Così i piccoli entravano illegalmen­te,

nei bagagliai delle auto. Per non farsi scoprire vivevano nascosti nelle soffitte, condannati al

silenzio. Un romanzo ora riporta alla luce la vicenda. E, parlando di ieri, si rivolge a chi, oggi, non riconosce ai migranti che arrivano in Europa la stessa sofferenza

è stato un tempo in cui eravamo noi i sans-papiers, i “disperati” senza permesso di soggiorno, i clandestin­i. In Svizzera, per esempio, dove gli italiani costituiva­no la maggiore comunità di immigrati, fino a poche decine di anni fa il numero di irregolari era alto. I lavoratori stagionali nonerano disposti a separarsi dalla famiglia anche se la legge vietava i ricongiung­imenti. Allora, gli uomini assumevano le mogli come domestiche e portavano illegalmen­te con loro i figli, magari nascosti nel bagagliaio dell’auto. Si parla di 15-30 mila bambini che, come Anna Frank, vissero per anni in cantine e soffitte, nelle periferie delle città industrial­i, attenti a non farsi vedere dagli abitanti del luogo, senza la possibilit­à di giocare all’aria aperta, senza poter andare a scuola. A questa pagina dimenticat­a della nostra storia recente è dedicato

Chiamami sottovoce, che la scrittrice milanese ma di origini svizzere Nicoletta Bortolotti ha pubblicato per i tipi di Harpercoll­ins (17 euro, 358 pagine). Con uno stile pulito che «sa di legno e pietra, come le case delle mie montagne», per dirla con le sue stesse parole, Bortolotti segue la piccola Nicole che nel 1976 scopre che nella casa accanto alla sua, tra i boschi di Ariolo, ai piedi del San Gottardo, vive Michele, un “bambino proibito”, un bambino che in Svizzera non ci può stare. Michele ha superato la frontiera nascosto nel bagagliaio di una Fiat 131 e ora vive in una soffitta, solo,

C’

come uniche compagne la paura e qualche matita per disegnare arcobaleni sul muro. Le regole dei suoi genitori sono chiare: «Non ridere, nonpianger­e, nonfare rumore». Ma i bambini non temono i divieti degli adulti e Nicole e Michele stringono un’amicizia fatta di passeggiat­e furtive nel bosco.

Nicoletta Bortolotti, la sua famiglia è di Lugano: quanto c’è di autobiogra­fico nel romanzo?

Il nome della protagonis­ta, Nicole, sembra alludere a un alter ego; in realtà lei da adulta conduce una vita molto diversa dalla mia. Ma è in-

“Mia nonna si salvò dai nazisti riparando in Svizzera. Ricordo bene i suoi racconti sugli esuli antifascis­ti”

negabile che nel libro ci sia molto della storia della mia famiglia e della nostra casa, dove ancora passo le mie estati. Sono svizzera, eppure la storia drammatica dei bambini nascosti l’ho scoperta solo dieci anni fa. Ho iniziato a fare ricerche, partendo da un libro di Marina Frigerio, la prima a raccoglier­e le storie di questi bambini. Ho scelto di ambientare la vicenda ad Ariolo, nel contesto della costruzion­e della galleria del San Gottardo, dove lavorarono moltissimi stagionali italiani, anche se la maggior parte dei bambini clandestin­i furo- no nascosti nella Svizzera francese e in quella tedesca.

A chi si è ispirata per la figura di Delia, la donna che nasconde Michele in soffitta?

Delia ricorda molto mia nonna. Il suo personaggi­o serve per capire la doppia anima della Svizzera: da una parte quella della politica dei respingime­nti, dall’altra quella generosa che accoglie di straforo, negli anni Settanta come durante la guerra. Mia nonna si salvò dai nazisti riparando in Svizzera e i suoi racconti sulle grandi figure degli esuli antifascis­ti mi hanno accompagna­ta lungo tutta la stesura del romanzo.

Quali reazioni sta registrand­o tra i lettori?

Quando sui social network diedi notizia che stavo per scrivere il libro, una donna mi ha contattata per raccontarm­i la sua esperienza: dal NordEst italiano, seguendo i genitori in Svizzera, venne tenuta nascosta proprio ad Ariolo, sviluppand­o un forte legame per la “seconda mamma” che l’allevò. Ma di storie così ne ho incontrate tante. Anche con esiti paradossal­i. Ricordo quella di un ex bambino clandestin­o che, rientrato in Italia, si è poi candidato con la Lega…

Come se lo spiega?

Credo sia il desiderio di prendere le distanze, rinnegare un passato di cui ci si vergogna.

Si è domandata perché gli italiani, che tanto hanno avuto bisogno degli altri popoli, ora si stanno mostrando così ostili verso chi sbarca sulle nostre coste?

È singolare che proprio l’italia, tra le nazioni che hanno vissuto una delle più grandi migrazioni della storia moderna, ora rifiuti di riconoscer­e in chi arriva in Europa la stessa sofferenza vissuta dai nostri nonni. È come se gli italiani vivessero una rimozione: le persone che sbarcano sulle nostre coste ci ricordano chi siamo stati e molti non sono pronti ad affrontare il peso della memoria.

Noi eravamo “emigranti”, mentre loro sono per tutti, compresi i giornali, “migranti”…

In questa differenza di linguaggio si nasconde il triste desiderio di trovare una distanza tra noi e loro. Vi è una narrazione romantica sull’emigrante italiano, che partiva con la valigia di cartone e il bagaglio di storie e di speranze. I migranti di oggi, invece, sono percepiti come uno stormo indistinto, senza volti, senza storie individual­i. Preferiamo pensarli clandestin­i, illegali, dunque diversi dal racconto che facciamo di noi stessi e del nostro passato di espatriati. In realtà, anche gli italiani entrarono illegalmen­te in Paesi come la Francia o la Svizzera. Come il Michele del mio libro.

Come un altro personaggi­o celebre, Mussolini, che entrò clandestin­amente in Svizzera nel 1902, per sfuggire al servizio militare, e da cui fu espulso per ben due volte…

Ai primi del Novecento la Svizzera vide moltissimi clandestin­i italiani. C’era chi fuggiva dalla legge, chi dalle persecuzio­ni, come i dissidenti politici e gli ebrei. Da tempo c’è una polemica in Svizzera proprio sul ruolo che il Paese ebbe nell’accoglienz­a dei profughi durante la Seconda guerra mondiale. Non ne accolse abbastanza perché anche allora c’erano leggi che ne limitavano l’ingresso. I respingime­nti avvenivano con le stesse motivazion­i con cui oggi si respingono i migranti che attraversa­no il Mediterran­eo. Edesattame­nte comeallora, quando i contrabban­dieri accompagna­vano illegalmen­te i profughi ebrei attraverso il confine dietro compenso, c’è chi sfrutta la fiducia dei disperati per guadagnarc­i e chi, con coraggio, sfida la legge esclusivam­ente in nome della nostra umanità.

 ??  ?? A sinistra, emigrati italiani in partenza per la Svizzera. Sotto, una scena del documentar­io di Alvaro Bizzarri,Lo stagionale: racconta lo sradicamen­to dei migranti e il divieto dei ricongiung­imenti negli anni Settanta.
A sinistra, emigrati italiani in partenza per la Svizzera. Sotto, una scena del documentar­io di Alvaro Bizzarri,Lo stagionale: racconta lo sradicamen­to dei migranti e il divieto dei ricongiung­imenti negli anni Settanta.
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 ??  ?? Nicoletta Bortolotti, 51 anni, italiana di origine svizzera. A destra, la copertina del romanzo.
Nicoletta Bortolotti, 51 anni, italiana di origine svizzera. A destra, la copertina del romanzo.
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