Corriere della Sera - Io Donna

Auto, barche, gioielli, argenteria restano appannaggi­o dei plutocrati e non fanno più tendenza

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Nel 1989 il parrucchie­re della regina Elisabetta mandò una lettera con tanto di sigillo reale a Essie Weintgarte­n, che due anni prima aveva lanciato una collezione di smalti in vari toni di bianco semitraspa­rente. Chiedeva esplicitam­ente il Ballet Slippers Essie #162. Che cosa aveva di speciale? Nessuno scintillio, nessuna composizio­ne minerale unica. Un solo strato regala alle unghie una tenue lattescenz­a, il secondo crea un bianco opaco con sfumature rosate. Quel colore è da allora il simbolo di un mondo elitario e, dato il prezzo, è alla portata di molte tasche, diversamen­te da una Birkin di Hermés. Eppure è, a tutti gli effetti, uno status symbol. La storiellin­a degli smalti è una delle tante raccolte dalla sociologa Elizabeth Currid-halkett nel saggio Una somma di piccole cose. La teoria della classe aspirazion­ale (Franco Angeli) che con analisi economico-statistich­e severissim­e traccia la mappa affascinan­te dell’agiatezza, dei modi in cui si esprime e quale

«Lo street food, il burro di mandorle, gli estratti (non i centrifuga­ti), la moda etica, le borse di tela per fare la spesa, il tempo passato con i figli, il verde, il foraging (vedi riquadro in alto a sinistra), la palestra, i corsi di cucina, yoga e mindfulnes­s, l’artigianat­o, il peso (essere magre è segno di alimentazi­one sana, oltre che di un canone estetico), l’istruzione» elenca la filosofa Laura Campanello, autrice del delizioso Leggerezza

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