Corriere della Sera - Io Donna
Il dolore e l’ultima carezza fatta di parole
il dolore è per chi resta. Ha suscitato molta commozione la scomparsa della giornalista e scrittrice Alessandra Appiano. Si è tolta la vita, in un’anonima domenica di giugno. Si è gettata dal terrazzo di un albergo dopo aver lasciato la struttura in cui era ricoverata. Nata ad Asti, aveva vinto con il suo primo romanzo Amiche di salvataggio (Sperling&kupfer) il premio Bancarella nel 2003 ed era stata autrice di numerosi altri libri tradotti in paesi europei. Collaborava con varie testate giornalistiche, oltre a partecipare come ospite opinionista in talk show di Rai e Mediaset. Ancora più commozione, se così si può dire, ha suscitato la lettera aperta del marito, il giornalista e scrittore Nanni Delbecchi. Rivolgendosi al computer, gli chiede di dargli una mano a raccontare ciò che non avrebbe mai voluto raccontare: «Dimmi tu cosa succedequandotuttoèrasoalsuolo in sette settimane per opera di una malattia mentale feroce, rapace, subitanea e violenta, un male che come un lampionaio spegne una per una le luci della persona che ogni giorno ti ha illuminato la vita». È una lettera che non cerca di mettere la consolazione al posto del dolore (sarebbe impossibile), ma è uno straordinario, sofferto congedo dalla persona amata. Delbecchi sente il bisogno di spazzar via tutte le sciocchezze e cattiverie apparse in «quella peste delle relazioni umane che sono i cosiddetti social network», ma la parte più struggente è racchiusa in quelle parole che cercano di descrivere Alessandra: «Aveva le sue tristezze e le sue malinconie, certo, accentuate da una natura in cui si alternavano spleen ed euforia. Era un’artista vera, duplice anche nel suo lavoro, capace di tormentarsi per tre mesi sul “nonho più niente da dire” e poi di buttar giù di getto unromanzo nei tre mesi successivi».
Nanni Delbecchi è anche un finissimo critico tv (le sue recensioni appaiono su Il Fatto Quotidiano, ha scritto un libro importante, La coscienza di Mike, edito da Mursia), conosce tutti i riti tribali della cosiddetta “tv del dolore”. L’uomo può sopportare e non maledire, solo se si proietta in unadimensione più grande, se vede la sua disperazione sullo sfondo di una sofferenza universale (che nonvuol dire pubblica, sotto i riflettori).
Per questo, con quella sensibilità che solo il dolore beffardamente sa offrirti, usa le parole come fossero l’ultima carezza, anche se alla fitta non si può dire basta: «Quelli che non la conobbero, ol’hanno vista solo in qualche apparizione mediatica, vorrei che avessero di Alessandra l’immagine più semplice che io ne porto nel cuore. Era una donna buona».