Corriere della Sera - Io Donna
I versi di un’antica poetessa ci aiutano nella sofferenza
Non sapevo nulla di Anite, poetessa nata a Tegea e vissuta tra il quarto e il terzo secolo avanti Cristo. Cercando versi scritti da una donna nella Grecia antica, quasi sempre e quasi tutti ci fermiamo a Saffo, alla sua tenerezza rispetto agli eroi omerici, alla consapevolezza potente di sé oltre i destini domati dagli dei, alla sua arpa, alla rupe. All’inizio dell’estate un’amica mi ha passato un libretto sottile, Epigrammi (La finestra editrice), in versione bilingue: 23 brani, tradotti e commentati da Ugo Pontiggia.
E in questo inizio di settembre la voce di Anite - che sembra stendersi accanto agli esseri viventi nei momenti della debolezza - si è rivelata capace di salutare, empatica e delicata, una stagione italiana dolorosa che chiudendosi porta con sé l’immagine di quel ponte mozzato. Una bambina che muore tra le braccia del padre, l’addio prematuro agli amici, la sposa perduta prima delle nozze, un comandante caduto. E con loro la cicala, un cane da corsa