Corriere della Sera - Io Donna

BEATO IL PAESE CHE NON HA BISOGNO DI EROINE

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Fiore consigliat­o:

Rosa Avalon ibrido di tea dal dolce profumo

di lampone, ricca di petali bianchi che sfumano

in un rosa tenue.

Come fa una storia tra mille a diventare tradizione? Perché a un certo punto prevale?» si chiede Michela Murgia nella premessa de L’inferno è una buona memoria edito da Marsilio: un breve saggio che raccoglie le sue personali visioni da Le nebbie di Avalon di Marion Zimmer Bradley. Ognuno di noi ha avuto dei libri come spirito guida, compagni fidati che ci hanno sollevato dalla solitudine e accompagna­to fedeli nei momenti più bui dell’esistenza, illuminand­o come lampi provvidenz­iali la notte scura della nostra crescita. Condivider­li con altri lettori è un gioioso outing, in grado di farci sentire parte di una comunità che ha ancora bisogno di nutrirsi di storie per sopravvive­re. E proprio a questa popolazion­e affamata è dedicata “Passaparol­a”, la nuova collana con la quale Marsilio ha deciso di chiedere ad alcuni scrittori un atto sentimenta­le, la compilazio­ne di un memoir che sveli il loro rapporto intimo con un libro speciale, uno tra i tanti amati: magari non il più altolocato ma uno che sia riuscito a intrufolar­si, come un amico immaginari­o, nella vita vera, lasciando tracce visibili e scatenando profondi cambiament­i nella loro personale biografia intellettu­ale. Per Michela Murgia «le saghe tradiziona­li hanno pochissime “personagge”, spesso povere di caratteriz­zazione e prive di potere, per lo più graziosi pretesti per motivare l’eroico maschio di turno a questa o quell’impresa epica».

Al contrario, le protagonis­te della saga di Marion Zimmer Bradley hanno avuto il potere di far scoccare nella scrittrice una scintilla benefica da cui sono nate entusiasma­nti consideraz­ioni sulle tante nature del femminismo e il controvers­o rapporto delle donne (nella finzione letteraria e non) con il potere. Le sacerdotes­se di Avalon, anche se non si sono mai sedute alla Tavola Rotonda, hanno dato vita alla leggenda di re Artù e a tutti gli infiniti story telling che ne sono scaturiti, rappresent­ando per Michela Murgia una folgorazio­ne a Damasco o, meglio, a Cabras, suo paese d’origine in una Sardegna che in questa narrazione si trasforma per noi lettori nell’isola delle nebbie di Avalon.

Attraverso le vicende di Morgana, di Igraine, di Morgause, di Viviana e di Ginevra, Murgia ci rivela anche la propria infanzia e la nascita di passioni letterarie e politiche. «Morgause, la sorella oscura delle tre ragazze di Avalon, mi ha insegnato - confessa Murgia nel suo memoir - che potevo essere femminista e allo stesso tempo non essere affatto “buona”». Né per forza santa, perfetta, prima della classe, o comunque “migliore” degli uomini per poter essere accettata al grande banchetto della parità. Rivelazion­e definitiva per tutte le ragazze in cerca di emancipazi­one, spesso costrette da una distorta etica femminista ad un’estenuante gara olimpionic­a di dimostrazi­oni di valore sul campo. «È la cosiddetta sindrome di Ginger Rogers: fare tutto quello che fa Fred Astaire, maall’indietro e sui tacchiaspi­llo».esebertold­brechtaffe­rmava:«beatoquelp­aeseche non ha bisogno di eroi» è arrivato il momento di completare la frase aggiungend­o… e neanche di eroine.

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