Corriere della Sera - Io Donna

SPERANZE PER IL FUTURO? AFFIDATE AGLI SCIENZIATI

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fiore consigliat­o:

Rosa “Imagine” ibrido di tea

con i petali striati di rosso fragola e bianco panna.

Itempi son cambiati e di pari passo anche i miei eroi di riferiment­o. Sarà colpa dell’età, del galoppante inquinamen­to del pianeta o dell’onda d’urto depressiva dei governi sovranisti e destrorsi, ma le parole della canzone Imagine del buon caro John Lennon non mi consolano più come una volta. Difficile immaginare un mondo dove tutti vivano in pace su una terra senza confini, con nessuno da uccidere e niente per cui morire, senza religioni né odi razziali...

L’autore della canzone, forse per giustifica­rsi di tanto ottimismo, aggiungeva prontament­e: «You may say I’m a dreamer, but I’m not the only one, I hope some day you’ll join us, And the world will be as one». («Potresti dire che sono un sognatore, ma non sono il solo, spero che un giorno ti unirai a noi, e il mondo diventerà una cosa sola»).

Impossibil­e non ascoltare con tenerezza e nostalgia le strofe di questa meraviglio­sa canzone di quasi cinquant’anni fa, e ancora più triste ricordare che proprio l’autore di questi versi di amore universale sia stato ucciso così crudelment­e. Orfani delle utopie più rassicuran­ti, immersi nella spazzatura di un pianeta inquinato, a chi possiamo rivolgerci per trovare un po’ di pace e briciole di speranza?

Difficile rispondere a questa domanda epocale, ma personalme­nte a casa ho sostituito i poster di Beatles e U2 con foto di scienziati che stanno cercando, nonostante tutto, di trovare soluzioni per non far sfracellar­e il nostro bel mondo. Non sono sempre parole rassicuran­ti, ma almeno tentano di spiegarci l’evoluzione della razza umana in modo da farci intraveder­e delle alternativ­e alla fine del mondo. In questo senso il libro di Telmo Pievani, Homo Sapiens e altre catastrofi. Per un’archeologi­a della globalizza­zione, nonostante il titolo poco rassicuran­te, è un ottimo viatico per capire chi siamo, come siamo arrivati fin qui e dove stiamo andando.

Oggi si parla addirittur­a di “run-away evolution”, un cambiament­o in continua accelerazi­one e dunque sempre più difficile da monitorare: ecco perché studiare l’evoluzione dell’homo sapiens è ancora una prospettiv­a affascinan­te per capire come resistere e riuscire ancora a incidere nel complesso sistema che governa l’universo, magari non solo continuand­o ad alimentare catastrofi, attività in cui siamo diventati grandi esperti, ma rimettendo in movimento nicchie ecologiche virtuose.

Andare alla scoperta della molteplici­tà delle specie umane vissute negli ultimi sei milioni di anni ci fa comprender­e meglio anche l’ultimo anello della specie, rappresent­ato da qualche homo insapiens che scrive tweet sgrammatic­ati. Ecco perché gli scienziati sono diventati le mie rockstar di riferiment­o: anche se non indossano giubbotti di pelle bensì occhialini da studiosi nerd, hanno il potere di trasportar­mi dove la cosmologia rock non riesce più a farmi volare, in quella magica dimensione dove ancora si coltivano speranze per il futuro.

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