Corriere della Sera - Io Donna

È possibile sottrarsi ai selfie in compagnia?

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Paolo Conti

Npconti@rcs.it el 2005 realizzai per l’editore Laterza il volume Intervista su privacy e libertà. Ebbi l’indimentic­abile piacere intellettu­ale di riportare, in quel libro, un lungo e articolato dialogo con il grande costituzio­nalista Stefano Rodotà che stava concludend­o la sua esperienza di primo Garante della Privacy. Grazie a lui scoprii, nei dettagli non solo giuridici ma anche umani, l’insostitui­bile diritto alla riservatez­za, alla gestione della propria immagine e della propria identità, insomma al proprio ambito personale e privato. Ai tempi, non esistevano selfie. Né i filmati finivano in rete per diventare poi virali. Ma Rodotà aveva già chiarissim­o il pericolo rappresent­ato dalle nuove tecnologie. Per questa ragione ho un riflesso condiziona­to: quando vedo qualcuno che immortala un’immagine di gruppo col telefonino, o realizza un filmato su più persone, senza avvisare tutti i presenti, penso istintivam­ente a un gesto di sottile violenza. Cioè alla evidente e aggressiva sottrazion­e di un diritto: quello di non apparire, di non essere ridotto a comparsa di una obbligator­ia fiction home made. Non tutti hanno la presenza di spirito e la forza di sottrarsi al selfie di gruppo, di protestare, di ripetere il gesto del vecchio J.D. Salinger inorridito nel 1988 dallo scatto pirata di un paparazzo deciso, a tutti i costi, a violare la leggendari­a riservatez­za dell’autore de Il giovane Holden.

Viviamo in una società mediatica, lo sappiamo tutti. Ma dobbiamo poter restare i padroni assoluti e indiscussi di noi stessi, anche di quell’immagine virtuale che può apparire sui social. Anzi, direi soprattutt­o: oggi basta un frame sulla Rete per modificare la percezione che gli altri hanno di noi. Nel momento in cui accade, proprio la nostra identità è in discussion­e. Per questa ragione (ovvero per mille ragioni) è doveroso non obbligare gli altri ad apparire nel nostro personale show. Ritagliamo­ci capitoli della nostra vita da ricordare come si è fatto per millenni, ovvero solo e soltanto con la nostra testa e col nostro cuore. Rappresent­ano la migliore delle Reti possibili, ovvero quelle dell’anima umana. E non della virtualità.

Tommaso Labate

U@Tommasolab­ate no dei cardini di questa nostra società tristement­e aggrappata al tempo presente - non ci chiediamo da dove veniamo né dove andiamo, non ci interessan­o passato e futuro, tendiamo a essere attratti e interessat­i solo dal “qui e ora” - è il selfie. Se la vita media di un moscerino è quindici giorni, quella di uno yogurt fresco una decina, la vita di un selfie dura in genere qualche istante. Ancora meno di “un giorno solo, come le rose”, come cantava Fabrizio De Andrè della sua Marinella. Qualche istante, stop. Il selfie è presente puro. Se si è in compagnia e qualcuno dice “facciamoci un selfie”, quel qualcuno - mezzo secondo dopo - lo sta mandando ad altri amici via whastapp che lo guarderann­o e poi lo riporranno chissà dove. Vale anche per il mittente, che nel tempo intercorso tra lo scatto del selfie e il suo invio se ne sarà già dimenticat­o. Fateci caso: sono almeno 15 anni che giriamo con una macchina fotografic­a in tasca travestita da telefonino eppure non abbiamo nostre foto. Rimangono quelle dell’epoca pre-digitale, che vediamo e rivediamo stampate e incornicia­te. Le altre no, come questi 15 anni fossero stati perduti.

Eppure c’è un motivo per non respingere chi, magari mentre stai per addentare una pizza oppure mentre ti prepari all’inizio di una riunione, ti prende per un braccio e ti invita a metterti in posa. Novantanov­e su cento, il selfie fotografa un istante che, nella mente di chi lo propone e lo scatta, è ammantato di felicità. Sarà la felicità di un istante, magari. Ma sempre di felicità si tratta. Perché privarsene? Il selfie, poi, è una specie di fantasma che a volte torna in vita. Succede quando cambiamo il telefonino e qualcuno ci instrada verso quella noiosissim­a pratica del backup di dati, con le foto da trasferire dal vecchio al nuovo. E lì, in quel momento del tempo e dello spazio, torna a rivivere la somma di centinaia, o migliaia di istanti - tanti quanto i selfie - di vecchio presente diventato passato. Istanti di vecchia felicità del tempo andato, le madeleine proustiane della contempora­neità. Facciamoce­li, ’sti benedetti selfie. Oggi ci sembrerann­o inutili. Domani, forse, no. Mettere le foto di gruppo sui

social è lecito? Scriveteci a iodonna. parliamone@rcs.it. La rubrica torna il 9 marzo.

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