Corriere della Sera - Io Donna
Il tutoraggio internazionale sprona a dare ali alla carriera
Regalarsi un’esperienza all’estero, volano alla carriera, è più difficile per le donne, spesso frenate dalle incombenze familiari. Ma anche in Italia si può entrare in contatto con culture professionali diverse. Lo propone Valore D delle donne sono
«Molte donne non pensano di dare nuovo impulso alla carriera, soprattutto per la mancanza di modelli di leadership che le supporti a essere più ambiziose senza sentirsi inadeguate nella loro vita privata» dice Paola Mascaro, presidente Valore D.
Il programma di mentoring Wefly® che Valore D propone ha lo scopo di coinvolgere le donne che sono nelle posizioni medie di management per aiutarle a esplorare le chance di una carriera internazionale.
Nell’edizione 2019 del progetto sono coinvolte 71 donne, di circa 39 anni (l’età più critica per la conciliazione di lavoro e famiglia), e altrettanti mentori (uomini e donne) con solida esperienza internazionale. L’abbinamento tra tutor e allieva è mirato a una trasmissione più efficace delle competenze. «Il primo ostacolo è l’abitudine delle donne, in Occidente, a mettere le proprie debolezze davanti alle capacità» dice Paolo Arnaldi responsabile risorse umane Medio Oriente e Africa di Citigroup, mentor da 12 anni. «Un guaio per tutti, perché le aziende globali ricercano proprio il tipo di ascolto e l’empatia delle donne. Noi le alleniamo a fare rete, a migliorare la comunicazione con il capo e il gruppo.
E a cogliere la sfida».
Eppure, più di qualcosa non torna. Ancora Alessia Mosca che continua con la sua associazione Fuoriquota il lavoro di monitoraggio e sostegno della legge: «Non è successo quello che avevamo sperato: non c’è stata una contaminazione positiva della presenza delle donne sul top management e sui ruoli apicali, anzi registriamo qualche flessione». In parole povere: molte consigliere indipendenti, ma poche executive (9 per cento), pochissime (meno del 5 per cento) amministratrici delegate. E così le manager: 29 per cento (dato del 2017) e qui nel raffronto europeo non brilliamo visto che la media si attesta al 36 per cento. Molte le ragioni, che vanno dalle resistenze culturali e maschili al fatto che le regole del gioco frenano le donne: il risultato è che là dove si muovono le leve decisionali la presenza femminile latita. «Non si è avuto l’effetto cascata sulle altre lavoratrici. All’interno delle aziende le donne in posizioni di vertice continuano a essere poche» affermano Agata Maida e Andrea Weber, autrici di uno studio Inps apparso quest’anno sulla questione. E sul sito di informazione economica e sociale lavoce.info indicano uno dei punti deboli: «Occorre inoltre tener presente che la capacità di influenzare le politi