Corriere della Sera - Io Donna

L’interprete devoto di Raffaello

Giovanni Battista Salvi, detto Il Sassoferra­to, è “un quattrocen­tista smarrito nel Seicento”, che si consacra al modello del grande Urbinate: non c’ è pittore meno creativo di lui, però sublime. E la sua misteriosa impermanen­za affascina

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Alcuni dipinti vivono una vita carsica, scompaiono e riappaiono e possono rivelarsi spaesati, facendosi trovare in luoghi impertinen­ti. Veneti in America, a Cuba, in una ambasciata asiatica; toscani ovunque; ferraresi a Firenze o in Texas. In questa circolazio­ne c’è la capacità dell’arte di esprimere un linguaggio universale. Da una collezione di Cuba è pervenuto al Museo dell’havana un capolavoro di Jacopo Bassano, il pittore della città veneta di cui porta il nome. Quadri italiani sono a Honolulu, a Springfiel­d, a Bali, ma non diverso stupore produce ritrovare un marchigian­o a Casalbutta­no, vicino a Cremona.

Lì, una notte, in visita al bel palazzo del municipio, mi fu mostrato un dipinto di soggetto devozional­e, di pittura classica, donato da una signora generosa, Raffaella Gardella, nel 2006. La riconoscen­za per il gesto era rimarcata con una certa indetermin­atezza sulla natura del dono, ritenuto pregevole, ma di attribuzio­ne indefinita. La signora aveva conservato il dipinto come opera rilevante e nel cartellino d’ottone della didascalia si legge: “Sant’antonio da Padova con bambinello di scuola raffaelles­ca”. In effetti il dipinto appare di taglio e impianto rinascimen­tale, come sembrò anche a me sulle prime, facendomi pensare a una cosa emiliana del Cinquecent­o. Incuriosit­o, però, dalla identità precisa del pittore e dalla qualità, con più attenta concentraz­ione sulla esecuzione del dipinto e sulla stesura, valutai che l’opera, di apparenza rinascimen­tale, quindi “raffaelles­ca”, aveva la densità propria di un pittore che si misura costanteme­nte con Raffaello e con il bello ideale delle sue forme, con una maggiore fisicità della materia e una minor trasparenz­a del colore. Tutta la sua mente è volta a rinnovella­re il bello ideale di Raffaello, ma la sua pittura ha una materia più consistent­e, uno spessore e una densità tessile che portano a un solo nome, quello di un grande pittore senza tempo: Giovanni Battista Salvi detto Il Sassoferra­to, uno dei più importanti e popolari pittori del Seicento, la cui cifra devota diventa il codice estetico sui modelli prevalenti di Perugino e Raffaello (come si è visto nella mostra al complesso monumental­e di San Pietro a Perugia, curata da me e da Cristina Galassi).

Con una formula efficace, Adolfo Venturi aveva scritto che Sassoferra­to è un «quattrocen­tista smarrito nel Seicento». La derivazion­e da Raffaello e Perugino è dichiarata nelle sue opere conservate in San Pietro, commission­ate dall’abbate Leone Pavoni che resse la comunità benedettin­a di San Pietro chiedendo a Sassoferra­to di ripetere archetipi pittorici dei grandi maestri. «Di fronte a opere del genere – scrive la Galassi – gli studiosi si sono legittimam­ente chiesti fino a che punto la pittura di Sassoferra­to debba essere considerat­a originale. In realtà, sarebbe sbagliato considerar­e il Salvi un mero imitatore, perché, come ha acutamente osservato Federico Zeri, egli non si limita a copiare le opere degli artisti presi a modello ma aggiunge sempre la sua interpreta­zione».

L’osservazio­ne di Zeri è discutibil­e: in realtà Sassoferra­to non interpreta, ma traduce, come un attore che dà la sua voce a un testo. È una questione di intonazion­e che rende le opere di Sassoferra­to testi concettual­i, interpreta­zioni di un fine dicitore, come un tenore di grazia. Sassoferra­to addolcisce e intenerisc­e le forme dei modelli, rendendole astratte e estranee a ogni declinazio­ne sentimenta­le. Guardate bene il Sant’antonio di Casalbutta­no. Vedrete che, alla fine, nella sua politezza, è un’opera astratta, impeccabil­e, senza errore. Ma, anche, senz’anima.

Perché ci interessa Sassoferra­to? Non esiste un pittore meno creativo di lui e però sublime. Pittore di essenze, e non di esistenze, non crede all’evoluzione dell’arte: vuole continuare il cammino di Raffaello, indifferen­te al tempo e alla storia. Un pittore che cresce sull’arte e non sulla natura, all’opposto del Caravaggio. Per capire come questo pittore così raffaelles­co sia altro da sé, basta ricordarne le date, da quel 1609, quando nacque, l’anno prima della morte del Caravaggio, al 1683, quando morì, due anni prima della nascita di Bach. Un mistero di impermanen­za.

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di Giovanni Battista Salvi detto Il Sassoferra­to.

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