Corriere della Sera - Io Donna
ES DEVLIN
Nata a Londra, 48 anni, scenografa, ha iniziato lavorando per di Victoria Chaplin e poi al National Theatre. Con la luce crea sculture cinetiche. Disegnerà il padiglione della Gran Bretagna all’expo di Dubai 2020, la prima inglese dal 1851.
d’arte imponenti, eppure destinate a non restare, ricche di rinvii alla lezione di scenografi come Josef Svoboda e Mark Fisher, alle videoinstallazioni di Bruno Munari, di Bruce Nauman, di Laurie Anderson e di Bill Viola, alle sperimentazioni di Bob Wilson e di Yayoi Kusama, agli ambienti luminosi di James Turrell e di Anthony Mccall. Episodi di un futurismo realizzato, che decretano il ritorno di Dioniso, dio dell’ebbrezza. E, al tempo stesso, ripropongono artifici propri della tragedia classica. E riattivano l’utopia wagneriana dell’opera d’arte totale, all’interno della quale musica, videoarte, architettura, performance ed happening si incontrano e si confondono, smarrendo le proprie specificità, per dar vita a un flusso avvolgente, sinestetico, senza inizio né fine.
Il senso delle avventure poetiche di Calle, Björk e Devlin (e degli altri artisti “esposti” in quel museo immaginario che è L’opera interminabile) è in una frase di Anselm Kiefer (cui ho dedicato il prologo del mio libro): «L’arte dev’essere separata dalla “vita”, da tutto ciò che non è Arte, e (...) deve poter continuamente trascendere i suoi stessi limiti, per ottenere prede migliori nelle battute di caccia in contrade straniere (...). Se ne ritornerà sempre trasformata e gravata da un fardello informe (...), che però le permetterà di rinnovarsi».