Corriere della Sera - Io Donna
I beni “democratici” dei Colonna
I proprietari della Collezione, custodita nel Palazzo della casata, perseguono l’idea che il bello, acquisito nei secoli con il privilegio, sia oggi di tutti. Perciò la raccolta è aperta al pubblico. E dal 7 marzo s’arricchisce di una nuova sezione
Roma le collezioni fidecommissarie indicano la sopravvivenza di un collezionismo che nei secoli si è perduto perché le opere vanno per eredi, dividendosi fra i figli. Invece le collezioni fidecommissarie sono rimaste integre, e sono tre: Doria Pamphilj, Pallavicini e Colonna. L’una si configura quasi come un museo; la Pallavicini si visita per appuntamento; la Colonna ha, da quando ero ragazzo, una stabilità di orario: il sabato, in un numero limitato di ore ma certe, e quindi dà il senso di una collezione che, benché privata, è di tutti, perché non esiste, per il patrimonio artistico, la differenza fra il pubblico e il privato.
Il palazzo conserva la suggestione di una dimora patrizia romana dell’età barocca e importanti collezioni. Indimenticabile la volta della galleria, affrescata da Giovanni Coli e Filippo Gherardi, mentre altri ambienti sono decorati da Giuseppe Bartolomeo Chiari, Benedetto Luti, Pompeo Batoni. Il museo ospita, tra gli altri, dipinti di Bronzino, Annibale Carracci, Cosmè Tura, Francesco Albani, Pietro da Cortona, Guercino, Tintoretto, Paolo Veronese.
Spesso lo Stato possiede beni tenuti in depositi o in abbandono, di cui quindi siamo privi e quei beni pubblici sono privati; e, in alternativa, alcuni privati aprono al pubblico i loro beni. L’esempio più emblematico è la collezione d’arte più vista in Italia, a Venezia, che è americana e privata: il Museo Guggenheim. Nessuno penserebbe che non sia un museo di tutti e invece è il museo di una signora americana che io ho conosciuto bene. Quando mi invitava a pranzo, appena si finiva, lei andava in biglietteria a fare i biglietti. Questo esempio di fusione tra il possedere e l’offrire agli altri è il segno della eccezionale condizione per cui, a Roma, chi entra nella galleria Colonna e vede la Collezione, le opere illuminate, i lampadari puliti, i cartellini color crema con le scritte in marrone scuro ha invece la sensazione che tutto sia in perfetta armonia: e le ore che passa qui sono ore che passa dentro la storia. Per me, oltretutto, c’è uno scomparto sublime del polittico Roverella che il mio concittadino, Bartolomeo Roverella,
Aa Ferrara, fece dipingere a Cosmè Tura, il più grande pittore del Quattrocento italiano, di cui la Galleria Colonna possiede anche una Madonna con il bambino. Quello scomparto parla di Dio in una misura assoluta: si va e si è davanti a questa prova di un pensiero che non è un pensiero umano, lungo il percorso delle collezioni, con i paesaggi di Vanvitelli, con le opere fiamminghe; a un certo punto ci si imbatte in qualcosa che è rimasto nelle aree piùprivate,perchéritenutomenoimportante.edessendo“meno importante” appare essere un Tiziano. Così è apparso nelle ultime ore, e probabilmente troverà spazio negli appartamenti “Pio”, in cui tutto è perfetto, e dove gli arazzi Gobelins sono segnali di una decorazione che diventa qualcosa di più di una decorazione, in un’ambiente in cui si sente una condizione di privilegio della bellezza, non della condizione sociale. Il potere di un Papa, di una grande famiglia si esprimono oggi in un bene di tutti, perfino democratico, benché nasca da una condizione di aristocrazia e di privilegio.
Gli appartamenti di Pio verranno aperti dal 7 marzo, con una visita guidata da Patrizia Piergiovanni: qui si trova una principessa Colonna, Sveva, di un artista che si conosce poco perché, siccome è un bravo scultore, il Novecento ha cercato di comprimerlo; e non essendo né astratto né stracciato, è sconosciuto quasi perfino ai proprietari della scultura se non perché è un’immagine di famiglia: è il grande Antonio Berti, scultore fiorentino legato a Libero Andreotti. L’aristocrazia formale prevale sulla aristocrazia sociale, in questa meravigliosa scultura di Sveva Colonna del 1939, morta poi nel ’99.
In ogni luogo a palazzo si vede che c’è amore per quello che è di tutti, e che si è orgogliosi che il mondo veda. Una grande famiglia ha fatto per Roma quello che oggi è il primo museo pubblico della città; e questa collezione vive per la passione di don Prospero Colonna e di sua moglie, che condividono il pensiero delle famiglie veneziane che costruirono i palazzi di Venezia, mirabili nelle facciate: “non nobis Domine, non nobis”, “nulla di questo ci appartiene”. Noi non ci saremo più, ma le opere parleranno per noi e per quello che abbiamo fatto per l’umanità.
Cosmè Tura, Santi Maurelio e Paolo con Niccolò Roverella, scomparto del Polittico Roverella (1470-1474), Palazzo Colonna, Roma.