Corriere della Sera - Io Donna
“Sogno di essere un pipistrello ma mi vogliono pantera”
Cita tra le sue fonti Bret Easton Ellis e Charles Bukowski (ne ammira la scrittura “viscerale”), due autori notoriamente esclusi dalla lista d’oro delle femministe. Segnala fra le sue letture memorabili La valle dell ’Eden di John Steinbeck - vorrebbe un giorno impersonare Cathy Ames, moglie-madre diabolica e manipolatrice - e Il maestro e Margherita di Michail Bulgakov. Ricorda di avere perso la testa da bambina per la trilogia di Philip Pullman Queste oscure materie e, a 19 anni, per Mary Shelley e Frankestein. Shakeaspeare, però, rimane il suo divo incontrastato, assieme a Sofocle ed Euripide.
Phoebe Waller-bridge la leggi così: un mix di autori dark e irriverenti, scritture “alte” e prosaiche, testi gotici, classici, erotici e satirici disegnano il background (azzardo: il potpourri creativo) dell’entertainer-scrittrice-performer oggi più osannata, ammirata e ricercata di Hollywood. Fleabag - la serie televisiva che racconta coi toni di una commedia umana sexy, cerebrale e assolutamente esilarante, le avventure di una londinese trentatreenne in crisi esistenziale, con famiglia scucita e una frenetica vita sessuale - ha trasformato l’artista britannica in un fenomeno pop e colto impossibile da ignorare.
La serie ha conquistato ben 11 nomination agli Emmy (portando poi a casa quattro premi), seguite a ruota dalle statuette dei Golden Globe e della Screen Actors Guild. A queste aggiungete nove premi per Killing Eve, la serie sulla storia d’amore tra un agente segreto e un’assassina psicopatica, che lei ha creato e di cui è produttrice esecutiva: la somma è bell’e fatta. Ma ci sono altri addendi: negli ultimi tempi la Waller-bridge si è trasformata sul set di Guerre Stellari, Solo: A Star Wars Story, nel droide L3-37 (Woody Harrelson ha confessato di avere accettato di tornare nella saga interstellare solo per lavorare con lei); Daniel Craig l’ha voluta nel team degli scrittori di No Time to Die, il suo ultimo 007 (vedi articolo a pag. 76): «Phoebe è semplicemente uno dei più grandi autori inglesi in giro» ha dichiarato. Persino l’ex presidente Barack Obama è suo fan e Hillary Clinton era nelle prime file allo spettacolo teatrale Fleabag a New York, la primavera scorsa. Il suo successo ha superato ogni aspettativa e demarcazione geografica. Se Emily Nussbaum, rigorosa critica televisiva del New Yorker, ha paragonato il dialogo mordente, impietoso, erotico e pieno di humor della scrittrice a quello del drammaturgo Joe Orton, e la sua versatilità di attrice a quella di Rosalind Russell, Amazon non se l’è fatta scappare: l’ha scritturata con un contratto da 20 milioni di dollari l’anno. Phoebe a questo punto si sente gratificata, tranquilla, anzi, libera come un pipistrello. Un pipistrello? «Be’, io ho sempre sognato di essere un pipistrello. Invece, tutti a chiedermi di fare la pantera...» dice ammiccando. Cominciamo dal nome: perché ha battezzato la sua protagonista e la sua serie Significa letteralmente sacco di pulci, e ha un che di squallido, di spiacevole.
Avevo voglia di parlare con franchezza della vita sessuale di una donna, di portare sullo schermo l’esperienza femminile in tutta la sua complessità. Sì, poteva essere rischioso, ma quando affronto un soggetto che dà il brivido del pericolo, mi eccito all’istante. Fleabag usa il suo candore sessuale come fosse un’armatura contro la gente: lo stesso atteggiamento che io - e molti della mia generazione - avevo a 20 anni, ricavandone una sensazione di forza, di potere. Allora non ne vedevo però l’aspetto buffo, ludico. Scrivere e interpretare il suo personaggio sul palcoscenico l’ha portata a scoprire se stessa?
A vent’anni mi sentivo cinica e rabbiosa (ride), ma non riuscivo a esprimere quel senso di malessere; discutevo di femminismo, eppure sotto sotto ero confusa, mi sentivo sessualmente forte, ma ero anche molto insicura. Mi trovavo in continuo conflitto con me stessa, sull’orlo di un precipizio, dove disperazione e cinismo facevano a pugni: e in fondo a quell’abisso c’era Fleabag.
Fleabag?
E poi? Ho elevato all’ennesima potenza le mie paure e, affidandole al personaggio, mi sono intestardita a esplorarle; nel farlo, insomma, ho “esorcizzato me stessa”. È un processo che mi ha portata ad articolare certi sentimenti e pensieri. Scrivere di Fleabag, e impersonarla, mi ha veramente aiutato come donna. L’autoaffermazione sessuale al femminile dovrebbe essere un fatto scontato, oggi. Lo è?
Credo valga sempre la pena di parlarne, perché la verità è degna di riflessione e la verità delle esperienze femminili varia da persona a persona. Può sembrare strano che il piacere della donna sia stato sempre zittito nella nostra cultura - dominata da paure e tabù - ma è vero pure che il mondo dello spettacolo per molto tempo è stato dominato da uomini che non hanno saputo scrivere della sessualità femminile in modo capillare. Abbiamo ora a disposizione nuove piattaforme, spettacoli televisivi più coraggiosi. Penso anche che il pubblico sia interessato a storie vere, autentiche, specialmente su noi donne e i nostri desideri. Il coperchio della pentola a pressione è saltato, e il pubblico mi regala sempre di più perché si identifica coi miei personaggi. E io con loro. Sono rimasta sorpresa quando ho letto che le avevano chiesto di riscrivere quest’ultimo episodio di James Bond. E lei? Quale direzione ha dato alla saga di Fleming? spiazzi il pubblico. Ricorda il suo primo Bond da spettattrice? Sono cresciuta negli anni di Sean Connery, ne ero una fan sfegatata. Ma mi sono concentrata su uno 007 più recente, quello di Casino Royale, con Daniel, perché lì c’erano cuore e storia: quel personaggio vive in un’area grigia, fa cose terribili ma per ragioni buone e valide. Oggi metteresti in questione quel tipo di patriottismo: vale davvero una vita, o un assassinio? Sono tutte domande che ritengo pertinenti. Parliamo della seconda stagione di Non conosco neppure una donna che non sia stata conquistata dal prete sexy impersonato da Andrew Scott. Desideravo disperatamente lavorare col mio amico. All’inizio pensavo non fosse una grande idea avviare una conversazione con un sacerdote, mi sembrava troppo estrema, poi però ho pensato a Andrew, alla sua capacità di rendere polivalente, pericoloso e credibile qualsiasi personaggio, così non ho avuto esitazioni.
“Il personaggio del prete sexy ha alimentato il dibattito sul celibato dei sacerdoti”
Fleabag.