Corriere della Sera - Io Donna

Quello che le donne raccontano

Contro la fuga dal velo, le suore chiedono regole certe e diritti

- Antonella Baccaro abaccaro@corriere.it

Di loro sappiamo troppo poco. Che consacrano la propria vita alla preghiera o la dedicano alla cura degli “ultimi” nei posti più sperduti del mondo o anche accanto a noi. Nell’immaginari­o collettivo le suore sono in grado di portare sulle spalle questo enorme carico con la sola forza della fede. E spesso è così. Ma nella Chiesa cattolica il crescente allarme per la crisi delle vocazioni femminili, scese dal 2010 di diecimila all’anno (oggi le suore sono meno di 650 mila per un miliardo e 313 milioni cattolici) lascia intuire che c’è qualcosa che non va. Certo, un tempo molte vocazioni erano “indotte” dalle famiglie che mandavano le figlie in convento perché ricevesser­o un’educazione o perché non riuscivano a mantenere tutti i figli. Ma non si tratta solo di questo. Ci sono anche molti abbandoni, alcuni dei quali sono causati dalla sindrome da stress lavorativo o dal disturbo da stress post traumatico. Entrambi possono derivare da contesti abusanti, oppure da abusi di potere o sessuali.

Sono ipotesi avanzate dall’unione internazio­nale delle superiore generali che ha fatto una cosa rivoluzion­aria: prendere sul serio il fenomeno istituendo una commission­e triennale per studiarlo. Maryanne Lounghry, psicologa e religiosa australian­a, intervista­ta sul tema dal settimanal­e femminile dell’osservator­e Romano, Donne, Chiesa, Mondo, individua già tra le cause la disparità di genere e l’assenza attuale di regole. «È fondamenta­le - dice Lounghry - che una suora sappia cosa può chiedere e cosa non può esserle chiesto. Ciascuna dovrebbe avere un codice di condotta, una lettera di accordo con il vescovo o con il parroco. Un contratto negoziato rende più forti». E ancora: «Non avere il controllo della propria vita, non poter programmar­e, mina la salute mentale. Lavorare nell’ambiguità, senza regole certe, può far sentire bullizzata, abusata, molestata». Lounghry va oltre, chiede di investire sul benessere delle suore fissando degli standard: due settimane di ferie, una retribuzio­ne, una situazione abitativa decente, l’accesso a Internet, momenti ricreativi, anni sabbatici. Insomma, anche per le suore è tempo di avere il pane ma anche le rose.

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