Corriere della Sera - Io Donna
Noi e le nostre figlie delle stelle
Abbiamo incitato le ragazze, ex bambine ribelli, a occupare tutto lo spazio possibile e ad allargarsi in ogni direzione. Ma, nell’universo in cui abitano, le regole che abbiamo ereditato servono a poco. Resta l’amore
Quand’erano piccoline c’era il dubbio del box dei giocattoli. Era una buona o una cattivissima idea metterle lì dentro durante i primissimi anni di vita, in quel recinto con la rete, il bordo gommoso da addentare tirandosi su, sul fondo pupazzetti vari e le costruzioni da baby Einstein? Loro dentro, al sicuro, e noi fuori, a portata d’orecchio. Quei box salvavita li avevo sempre visti a casa delle zie più giovani. Ogni volta, ormai oltre i limiti d’età consentiti, immaginavo di scavalcare e starmene rinchiusa in pace, magari a leggere un libretto delle elementari. Poi, quando il nostro turno materno è arrivato, erano diventati educativamente scorretti. Portatori insani di un senso di costrizione, di limite. Era ufficiale: sono gabbia, non rifugio. E, chissà mai, rischiavano di rinforzare nelle bambine quell’eterna difficoltà ad appropriarsi dello spazio. Noi le abbiamo invece incitate a occuparlo - tutto lo spazio possibile e immaginabile - allargandosi in ogni direzione; raggianti le abbiamo osservate sconfiggere la propensione secolare al contegno, al lancio a gomito stretto degli oggetti, ai toni di voce bassi. Niente box per le nostre bambine per le quali ci siamo augurate, in cima alla lista, la non paura del mondo facendo scivolare precipitosamente in fondo “un buon matrimonio”.
Ma eccoci all’adolescenza. Di nuovo al bivio tra cancelli e libertà. Quali mappe di frontiere invalicabili, quanti divieti e moniti sono sensati? Quanto è ragionevole, o anche solo efficace, riproporre lo schema di regole cui ricorsero i nostri genitori per lasciarci scendere in campo e osservarci vincere o perdere da distanza ravvicinata? Le nostre bambine ribelli, alle quali abbiamo raccontato favole della buonanotte che non prevedevano trecce lanciate giù dalla torre al primo principe di passaggio, sanno parlare e discutere e argomentare come noi non abbiamo osato mai con le nostre madri. E il dibattito non è sugli orari per rincasare la sera. L’universo che attraversano è talmente mutato, così profondamente aumentato di possibilità e di prove, che il vecchio kit di insegnamenti familiari di colpo pare essersi tramutato in un cacciavite arrugginito. Soltanto l’amore sa rivelarsi antico e nuovo nello stesso intreccio leale di fili di seta e di lacci, di simmetrie e asimmetrie, di conforto e colpi di scena.
Volete condividere con noi un pensiero, un’esperienza? Scriveteci a
La rubrica torna il 21 marzo.