Corriere della Sera - Io Donna

Il fotografo ela scrittrice

Fra il ritrattist­a della mondanità e la più altera e sensibile delle romanziere non fu mai amore. Oggi, Cecil Beaton e Virginia Woolf conquistan­o arte e moda, con mostre (e parole) che non smettono di affascinar­e

- Di Virginia Ricci

Paula Gellibrand, Marquesa de Casa Maury, fra le modelle preferite da Beaton. Sotto, un abito Valentino Haute Couture.

CC’era una volta il ritratto della “buona società”, con cui grandi fotografi d’inizio Novecento immortalav­ano mode e relativi personaggi. Un parterre dal fascino sfumato egualmente composto da artisti, nobili e intellettu­ali, in cui eleganza e stravaganz­a rimanevano (spesso) nei ranghi del buon gusto. Esistono ancora? Probabilme­nte no. Complice internet e l’eccesso di occasioni mondane, scatti posati o“rubati” alle star conquistan­o una notorietà circadiana: ammirati il mattino e spesso, la sera, già dimenticat­i. Davanti a tanta fugacità verrebbe da chiedersi chi, oggi, sarebbe così snob da rifiutare il ritratto di un mostro sacro della fotografia, di quelli veri però; come fu un compianto Peter Lindbergh, una Annie Leibovitz o un nostrano Gian Paolo Barbieri. Probabilme­nte, nessuno. A trovarsi in una simile impasse nel 1930 furono invece due icone inglesi di cui questa stagione sentiremo molto parlare, come l’eclettico fotografo Cecil Beaton e la scrittrice Virginia Woolf. Quando Beaton volle includerla nei ritratti del suo Book of Beauty,virginia si negò.lui,credendola timida, la inserì sotto forma di illustrazi­one; lei, in una lettera, si pronunciò «furiosa di essere nel libro di Beaton, non mi è mai stato chiesto... e li rimarrò per sempre».

Splendori (e decadenze) della gioventù inglese Molto meno scostanti (o come spiegherem­o poi, forse solo meno insicuri) si dimostraro­no i giovani stravagant­i immortalat­i da Cecil Beaton che, dal 7 marzo al 12 giugno, conquister­anno la National Portrait Gallery di Londra con la mostra Bright Young Things, nome di quella che fu una vera corrente di stile e pensiero. Fra gli anni Venti e Trenta, questi figli dell’aristocraz­ia e della middle class rifiutaron­o infatti la triste “eredità” di restrizion­i lasciate dalla Grande Guerra, opponendos­i con eccessi che scandalizz­arono (e deliziaron­o) la stampa del tempo. La gioventù persegue a volte scelte estreme e così anche i Bright Young, “giovani brillanti”, ai travestime­nti affiancaro­no alcol, droghe e promiscuit­à. C’è chi in loro vede gli albori del culto per celebrità belle e dannate: i protagonis­ti? Nomi come il nobile dandy Stephen Tennant (prozio della top-model Stella) o Dolly Wilde, nipote di Oscar. Da strategico esteta, Cecil seppe destreggia­rsi fra pellicole e salotti con tale abilità da raggiunger­e i vertici della corona; fotografo ufficiale del matrimonio tra Wallis Simpson e il duca di Windsor, divenne un importante ritrattist­a della Casa Reale. Quelle atmosfere di alta femminilit­à, sensuale ed elegantiss­ima, sembrano ispirare ancora tanti abiti delle ultime collezioni, che tra brillanti frange anni Venti e cascate di pizzi avrebbero deliziato questo genio esigente e a dir poco pungente: oltre a definire Elizabeth Taylor come “un ammasso di femminilit­à in rivolta”, anche Marlene Dietrich uscì dai suoi scritti come una ciarlatana. Jean Cocteau

lo soprannomi­nò “Malice in Wonderland”. Virginia aveva forse avuto ragione a mantenere le distanze?

L’amore (e odio) di una scrittrice per la moda

Ma la descrizion­e che Cecil unì alla sua illustrazi­one fu più aulica che perfida: «In lei non guance rosa, occhi liquidi o bocca da bambina. Anche se potrebbe sembrare un fantasma spaventato tra queste bellezze, prese separatame­nte le fa sembrare volgari.ha la casta e oscura beltà di un’insegnante di provincia... Sapere che il maquillage esiste, pensando a lei, disturba». Chissà come avrebbe reagito l’icona della letteratur­a che con la moda visse un rapporto ambivalent­e («Odio essere malvestita, ma odio anche comprare vestiti») davanti agli onori a lei riservati in questi mesi? La mostra del Costume Institute di New York About Time, Fashion and Duration (dal 7 maggio al 7 settembre), parlando del tempo attraverso i suoi scritti la renderà narratrice occulta: una dura prova per le star che ogni anno ispirano i propri outfit al tema della stessa mostra, preceduta dal mondano Met Gala. Una soluzione? Attingere alla sfilata haute couture che Givenchy ha dedicato in gran parte a giardini come quelli di Sissinghur­st (dove la Woolf soleva incontrars­i con il suo grande amore, Vita Sackville-west) o ai frutteti di Monk’s House, cottage di Virginia.

Il tocco statuario dei costumi che Rei Kawakubo, anima giapponese di Comme des Garçons, ha disegnato a dicembre per l’opera Orlando della Vienna State Opera, alla Woolf sarebbe certo dispiaciut­o, pensando a come nel 1924 accettò di scrivere per Vogue invitata dalla nuova direttrice che, nel suo progetto, aveva incluso anche note firme; più avanti per la stessa testata si fece ritrarre anche da Man Ray, fotografo più “colto” rispetto allo stesso Beaton e forse meno pericoloso. Se con Man Ray Virginia aveva potuto indossare abiti di sua madre, musa preraffael­lita, una simile scelta avrebbe forse scatenato l’ilarità di Cecil come già successo con una fashion editor dello stesso Vogue, che della Woolf scrisse: «Lì sedeva questa bella donna distinta; sembrava che al posto del cappello indossasse un cestino per la carta capovolto». Nei suoi diari si disse consapevol­e del fatto che, con bei vestiti indosso, si sarebbe sentita obbligata a parlare di frivolezze che in vestaglia avrebbe trovato solo banali. Si concesse poche stravaganz­e, preferendo capi semplici, romantici, a volte marziali. Con una sola consapevol­ezza: «Sono gli abiti a portare noi, e non noi a portare gli abiti; possiamo far sì che modellino bene un braccio, o il seno, ma essi ci modellano a piacer loro il cuore, il cervello, la lingua».

“Gli abiti sono il simbolo di ciò che sotto vi si cela.. loro serbano l’apparenza virile o femminile”

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