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Come ammaestrare le emozioni
Il Coronavirus ha provocato anche un contagio emotivo, con reazioni che sembrano virare tutte al nero. Ma non è questo il modo giusto di considerare la nostra sensibilità, oggi più che mai una risorsa per superare i momenti di crisi. Lo spiegano gli esper
aura. Panico. Apocalisse. L’attuale emergenza sanitaria fa tornare di attualità le reazioni emotive, ma il nostro patrimonio interiore è spesso considerato in termini negativi, come se da lì potessero sorgere solo risposte incontrollabili. Invece sono energie che vanno a nostro vantaggio. Se sappiamo gestirle.
P“Contagio emotivo” non è per forza una sciagura
«Quella del Coronavirus è anche un’epidemia emotiva, ma il contagio è anche quello delle intelligenze che si scambiano informazioni, della ricerca scientifica che lavora in rete» spiega Fabio Sbattella, docente di psicologia delle emergenze all’università Cattolica di Milano. «È vero, la reazione è molto accentuata, tutti commentano, tutti si interrogano, ma la reattività è segnale positivo della capacità di risposta immunitaria dell’organismo sociale. Le emozioni non vanno considerate il sintomo di una malattia, ma una risorsa».
Le parole contano: panico non è sinonimo di paura
«È importante distinguere tra emozioni oggi considerate quasi sinonimi» precisa Sbattella. «Paura è un’emozione primaria, congenita, che serve alla sopravvivenza e ci attiva davanti al pericolo: il primo istinto dell’uomo non è attacco o fuga, ma avvicinarsi al pericolo,perché se ne è incuriositi.quello che scatta quando ci si ferma a guardare l’incidente stradale sull’altra corsia dell’autostrada.si osserva per prendere il controllo della situazione, perché si ha bisogno di capire» analizza. Altra cosa è l’ansia, che è paura anticipatoria: l’organismo reagisce prima che il fatto temuto si manifesti. «Un comportamento adeguato se finalizzato ad affrontare una prova imminente, come un esame, distruttiva se si attiva con largo anticipo, un mese prima della prova. Allora, l’ansia consuma una enorme quantità di energie psichiche senza efficacia. Concentrarsi sulle sfide del presente, sulle incombenze pratiche, anche minute, è lo stratagemma per controllarla».
Infine, il panico, che è improprio considerare equivalente alla paura: a questa si reagisce, mentre il panico manda in blocco le persone. Impedisce di pensare. «Chi è in panico non va al super a far razzia di scatolette dagli scaffali. Non esce di casa. È una situazione rara, che si può dipanare concentrandosi sul respiro. A partire dalla ripresa del controllo sulla respirazione si rimetono in moto gli altri automatismi e quindi la capacità di ragionare».
Il rischio dei media: commuovere e non far riflettere
Un ruolo importante anche in questa crisi lo hanno i media e l’emotività che spesso permea l’informazione. Una situazione rischiosa, scrive Anne Cécile Robert in La strategia delle emozioni (Eleuthera Ed.): «Rabbia, commozione, ma anche compassione o empatia si installano al cuore delle relazioni sociali a scapito di altre modalità di conoscenza, come la riflessione» scrive. «Commuoversi è più facile che pensare» – continua la giornalista francese – «la riduzione di ognuno a essere sensibile spinge a concentrarsi sugli effetti e non sulle cause, mina la capacità di scegliere, decidere, conoscere».
Un curriculum per superare l’incompetenza emotiva
«Oggi regna l’analfabetismo emotivo di ritorno» concorda Matteo Bianchini, l’unico insegnante con una cattedra di Educazione affettiva in Italia, alla Scuola (pub
blica) Città Pestalozzi di Firenze, che accoglie alunni della primaria e della secondaria inferiore. Qui la conoscenza delle emozioni è materia con un voto che finisce in pagella, svolta in base a un programma – tanto quanto storia o inglese ‒ da 20 anni. Non è l’emergenza a far chiudere libri e quaderni per occuparsi di sentimenti, spiega l’insegnante, ma se succede un guaio «ci si ferma e ci si ragiona». Bianchini e colleghi lavorano su tempi lunghi: «I ragazzi stanno con noi fino a 14 anni, qui costruiscono quattro quinti della personalità» dice. «Contro la dilagante impulsività emotiva noi facciamo emergere la coscienza critica, rafforziamo il pensiero divergente. Oggi un curriculum emotivo solido conta quanto avere “buone basi”». loro espressione si attiva come reazione autonoma, indipendente dalla volontà cosciente, posta nel telencefalo».
Non è la ragione a indirizzare gli affetti