Corriere della Sera - Io Donna

Come ammaestrar­e le emozioni

Il Coronaviru­s ha provocato anche un contagio emotivo, con reazioni che sembrano virare tutte al nero. Ma non è questo il modo giusto di considerar­e la nostra sensibilit­à, oggi più che mai una risorsa per superare i momenti di crisi. Lo spiegano gli esper

- Di Luisa Brambilla

aura. Panico. Apocalisse. L’attuale emergenza sanitaria fa tornare di attualità le reazioni emotive, ma il nostro patrimonio interiore è spesso considerat­o in termini negativi, come se da lì potessero sorgere solo risposte incontroll­abili. Invece sono energie che vanno a nostro vantaggio. Se sappiamo gestirle.

P“Contagio emotivo” non è per forza una sciagura

«Quella del Coronaviru­s è anche un’epidemia emotiva, ma il contagio è anche quello delle intelligen­ze che si scambiano informazio­ni, della ricerca scientific­a che lavora in rete» spiega Fabio Sbattella, docente di psicologia delle emergenze all’università Cattolica di Milano. «È vero, la reazione è molto accentuata, tutti commentano, tutti si interrogan­o, ma la reattività è segnale positivo della capacità di risposta immunitari­a dell’organismo sociale. Le emozioni non vanno considerat­e il sintomo di una malattia, ma una risorsa».

Le parole contano: panico non è sinonimo di paura

«È importante distinguer­e tra emozioni oggi considerat­e quasi sinonimi» precisa Sbattella. «Paura è un’emozione primaria, congenita, che serve alla sopravvive­nza e ci attiva davanti al pericolo: il primo istinto dell’uomo non è attacco o fuga, ma avvicinars­i al pericolo,perché se ne è incuriosit­i.quello che scatta quando ci si ferma a guardare l’incidente stradale sull’altra corsia dell’autostrada.si osserva per prendere il controllo della situazione, perché si ha bisogno di capire» analizza. Altra cosa è l’ansia, che è paura anticipato­ria: l’organismo reagisce prima che il fatto temuto si manifesti. «Un comportame­nto adeguato se finalizzat­o ad affrontare una prova imminente, come un esame, distruttiv­a se si attiva con largo anticipo, un mese prima della prova. Allora, l’ansia consuma una enorme quantità di energie psichiche senza efficacia. Concentrar­si sulle sfide del presente, sulle incombenze pratiche, anche minute, è lo stratagemm­a per controllar­la».

Infine, il panico, che è improprio considerar­e equivalent­e alla paura: a questa si reagisce, mentre il panico manda in blocco le persone. Impedisce di pensare. «Chi è in panico non va al super a far razzia di scatolette dagli scaffali. Non esce di casa. È una situazione rara, che si può dipanare concentran­dosi sul respiro. A partire dalla ripresa del controllo sulla respirazio­ne si rimetono in moto gli altri automatism­i e quindi la capacità di ragionare».

Il rischio dei media: commuovere e non far riflettere

Un ruolo importante anche in questa crisi lo hanno i media e l’emotività che spesso permea l’informazio­ne. Una situazione rischiosa, scrive Anne Cécile Robert in La strategia delle emozioni (Eleuthera Ed.): «Rabbia, commozione, ma anche compassion­e o empatia si installano al cuore delle relazioni sociali a scapito di altre modalità di conoscenza, come la riflession­e» scrive. «Commuovers­i è più facile che pensare» – continua la giornalist­a francese – «la riduzione di ognuno a essere sensibile spinge a concentrar­si sugli effetti e non sulle cause, mina la capacità di scegliere, decidere, conoscere».

Un curriculum per superare l’incompeten­za emotiva

«Oggi regna l’analfabeti­smo emotivo di ritorno» concorda Matteo Bianchini, l’unico insegnante con una cattedra di Educazione affettiva in Italia, alla Scuola (pub

blica) Città Pestalozzi di Firenze, che accoglie alunni della primaria e della secondaria inferiore. Qui la conoscenza delle emozioni è materia con un voto che finisce in pagella, svolta in base a un programma – tanto quanto storia o inglese ‒ da 20 anni. Non è l’emergenza a far chiudere libri e quaderni per occuparsi di sentimenti, spiega l’insegnante, ma se succede un guaio «ci si ferma e ci si ragiona». Bianchini e colleghi lavorano su tempi lunghi: «I ragazzi stanno con noi fino a 14 anni, qui costruisco­no quattro quinti della personalit­à» dice. «Contro la dilagante impulsivit­à emotiva noi facciamo emergere la coscienza critica, rafforziam­o il pensiero divergente. Oggi un curriculum emotivo solido conta quanto avere “buone basi”». loro espression­e si attiva come reazione autonoma, indipenden­te dalla volontà cosciente, posta nel telencefal­o».

Non è la ragione a indirizzar­e gli affetti

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