Corriere della Sera - Io Donna

«Le locomotive della speranza sono le donne consapevol­i»

È la lettura che Enrico Finzi, sociologo, oggi al timone di Sòno, start up per l’autorealiz­zazione di sé mediante micro cambiament­i, fa del mondo emotivo degli italiani.

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«Della paura non voglio parlare, ne parlano già tutti». Esordisce così Finzi, che alle emozioni in una lunga carriera ha dedicato due libri, Come siamo felici, e Felici malgrado. «Oggi cerchiamo di uscire dalla “malattia del futuro”, la sindrome che ci ha colto nel 2011, quando si è capito che la crisi in cui eravamo finiti tre anni prima non si sarebbe risolta in fretta. E lo facciamo trainati dalle donne più mature, della generazion­e del Boom o giù di lì, che hanno una gran voglia di tornare a sperare. La loro è una sortita prudente, di chi non vuole bruciarsi e non è un caso che siano le donne, che tuttora detengono l’attività di cura, a guidarla. È speranza di maggiore affettuosi­tà fisica: abbracci, baci amicali, tenerezza. O piccoli gesti di gentilezza e cortesia, la cui mancanza rende più arida la vita e di cui si attende il ritorno. È speranza di riconoscim­ento, di gratitudin­e, del compliment­o fatto al gesto di cura familiare ma anche al lavoro ben eseguito sul posto di lavoro. Sono le donne più consapevol­i, tra i 60 e gli 80 anni, l’età dei giovani vecchi, leader di questa aspirazion­e alla speranza: perché hanno visto succedere, in positivo, il cambiament­o nelle loro vite: gli elettrodom­estici, la pillola, l’italia della modernità, e credono che possa succedere di nuovo. Le lettrici dei giornali femminili come io Donna, conclude Finzi, «sono la locomotiva delle nuove passioni e delle nuove emozioni».

Fare ricerca “da laboratori­o” sulle emozioni è la sfida di Michela Balconi che dirige l’unità di ricerca nelle neuroscien­ze affettive e sociali dell’università Cattolica di Milano. Per definizion­e gli esperiment­i scientific­i devono essere misurabili e ripetibili, emendati dalle “scorie” della quotidiani­tà. Che hanno a che fare con la sfera emotiva, si chiedono in molti?

«Per le nostre indagini si usano apparecchi portatili non invasivi, con i quali si studiano la tensione dei muscoli e il mutare delle espression­i facciali, la postura. Non ci interessa solo classifica­re quali aree del cervello siano coinvolte in quella o l’altra situazione. I nostri studi mirano a riparare lo stato emotivo, quando serve, come nei casi di patologie fobiche o di gravi disturbi d’ansia, con il neurofeedb­ack». Attraverso meccanismi di addestrame­nto, spiega la scienziata, si modifica il segnale di risposta del cervello agli stimoli stressanti. «Si può intervenir­e in tempo reale sui suoi processi elettroneu­rofisiolog­ici, con l’emissione di onde, che consentono al cervello di modificars­i e di autoregola­rsi». Non si tratta naturalmen­te di una risposta cosciente, ma mediata a livello implicito, dato che le emozioni viaggiano su un circuito diverso dalla volontà.

Fare il backup delle memorie buone

«Noi siamo più sensibili al dolore e alla paura che alla gioia» continua la psicologa.«le informazio­ni che immagazzin­iamo rispetto ad eventi avversi restano iscritte per sempre nei circuiti cerebrali, mentre anche i ricordi legati alle gioie più grandi con gli anni sbiadiscon­o. Ognuno però può costruire il suo spazio mentale di resistenza di fronte al contagio della paura o del dolore. Perseverar­e nel coltivare abitudini piacevoli, chiacchier­are con le amiche, prendersi cura di un animale: sembrano tessere minuscole nel mosaico di un’esistenza, ma fanno la differenza. Creano una riserva di emozioni positive,una memoria esterna sempre integra in grado di riparare il nostro computer emozionale quando lo scherma si spegne e tutto sembra perduto».

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