Corriere della Sera - Io Donna
Le avventure di una curvy (risolta)
Le “ciccette sballonzolanti” di Bridget Jones piacevano molto al suo Mark Darcy. Le mie, invece, suscitano una reazione che passa dal panico alla compassione. Succede tutte le volte che metto piede in un negozio d’abbigliamento italiano, soprattutto in vista della prova costume all’indomani del lockdown. Altro che maniglie dell’amore: le commesse mi fissano tutte, allarmate. Non faccio neppure in tempo ad avvicinarmi a una maglia che una di loro, furtiva, si avvicina e mi dissuade. Scuote energicamente il capo, come a dire: «Per te qui non c’è abbastanza spazio». E, appena nomino la X prima della L, risponde con fare cospiratorio: «Capi del genere non li trattiamo assolutamente». Come se il “genere” in questione fosse l’horror.
Ci riprovo, persino più a disagio di prima, buttandola sul ridere: «A una ragazza diversamente magra come me cosa consiglia, allora?».
S’irrigidisce ancora di più: «Sulle bancarelle si trovano cose di tutti i tipi, guardi lì, non si sa mai». E, per essere sicura che mi levi di torno in fretta (forse per non turbare la clientela con il mio ingombro eccessivo), mi scorta persino all’uscita.
Nel mio Paese la vita da plus size va così. Se guardo le vetrine mi sento sempre “fuori misura” - e quin
Dovremmo essere la patria delle forme mediterranee, invece la vita e lo shopping da taglia generosa in Italia è più difficile che altrove. Lo racconta con leggerezza una giornalista e viaggiatrice
di sbagliata - e quando vado a fare shopping devo avventurarmi negli angoli più remoti dei negozi, quelli che un tempo Blockbuster riservava alle Vhs per adulti e che oggi evidentemente hanno convertito in reparto “taglie comode”. Ma comode per chi? Nulla contro i rettilinei, sia chiaro, ma esistono pure le curve. E no, non si tratta di “grasso è bello”, ma di civile convivenza. Mi piacerebbe non sentire più il prete che sbotta durante la confessione e mi consiglia di mettermi a stecchetto per “esaltare la femminilità”. Una sorta di versione diplomatica del più spietato: «Figliola, se non vuoi restare zitella a vita, cerca di dimagrire e tornare sotto la 44».
Quelle ironie su Facebook
Certo, apprezzo lo sforzo del politically correct, che nel più educato dei casi mi chiama morbida (o morbidissima, se preferite). Io mi sono affettuosamente ribattezzata “taglia Nutella” proprio perché ho imparato ad amarmi così come sono, ma l’autoaccettazione non mi rende impermeabile a tutto.
Infatti avrei preferito che la mia ex compagna di scuola avesse smorzato i toni dei commenti fatti dai suoi amici di Facebook nei miei confronti. Sotto la foto di noi due, davanti a una torta di compleanno delle elementari, il più garbato la invitava a fare attenzione: «Quella - ha scritto - si mangia pure te».
E mi sarebbe piaciuto non sentire il mio ragazzo dell’epoca ridere a crepapelle quando alla stazione di servizio il benzinaio mi ha regalato un kit nascita insistendo sul fatto che fossi incinta (non lo ero). Me ne sono stata zitta e ho abbozzato anche in quel caso, come tutte le volte in cui la signora delle pulizie mi chiamava “cicciona” mentre contava ad alta voce il numero di lattine di Coca-cola nel cestino. E invece no, ho pensato sempre che in qualche modo me la fossi cercata, anche quando un cameriere al ristorante, facendomi l’occhiolino, mi ha suggerito un’insalata scondita invece delle patatine fritte che avevo ordinato.
L’esperienza della dieta
Sconosciuti, amici o parenti: tutti, dalla pubertà, si sentono in diritto di darmi consigli non richiesti per farmi “stare meglio”. Una volta li ho pure ascoltati e mi sono messa a dieta (risultato: 59 chili per 175 centimetri di altezza). Seguivo un regime alimentare diverso, ma non avevo mica trovato una bacchetta magica capace di limare le “ossa grosse” ereditate dal ramo paterno della famiglia, un ibrido tra una stirpe di amazzoni e una di vichinghe. Certo, mi ero affrancata dall’angolo per le taglie forti, ma ancora non capivo dove stesse questa famigerata forza (magari nelle cuciture?). La magrezza