Corriere della Sera - Io Donna
La verità sulla fine di Marco
Si rifà il processo d’appello sulla morte di Vannini, avvenuta a casa della fidanzata nel 2015, annullato in Cassazione. È l ’ultima occasione di accertare i fatti di quella notte e permettere ai familiari di trovare pace
« Si dice che sopravvivere alla morte di un figlio sia la tragedia più grande che possa capitare a una mamma ma, credetemi, è altrettanto tragico per una nonna che ha visto nascere e crescere il proprio nipote. La mia vita non è stata facile. Una vita di sacrifici e stenti a causa della guerra, una vita di dolore per la perdita della mamma quando ancora ero una bambina. Credevo ormai di aver superato, con la forza che mi ha sempre contraddistinto, i periodi più bui della mia esistenza e mi accingevo finalmente a vivere con serenità accanto alle mie figlie e ai miei nipoti. Ma il destino evidentemente aveva in serbo per me altre sofferenze, altro dolore, non pago di tutto quello che avevo già patito. E come un fulmine esploso in un cielo sereno mi ha colpito al cuore, strappandomi una delle poche gioie della mia vita. Sopravviverò anche a questo? Non lo so se ne avrò ancora la forza. L’unica cosa che mi resta è pregare sempre affinché lassù qualcuno, mosso a compassione, guardi questa nonna straziata e le dia la felicità un giorno di potersi ricongiungere con il tanto amato nipote. Ciao Marcolì, spero proprio di poterti riabbracciare. Nonna Gina».
Questa è la lettera che la nonna di Marco Vannini ha pubblicato nel libro Mio figlio Marco - scritto da Marina Conti e Mauro Valentini per Armando editore - che ricostruisce la storia e il processo per la morte del ragazzo di 20 anni avvenuta nella notte tra il 17 e il 18 maggio 2015. L’8 luglio è cominciato di fronte ai giudici della Corte di assise di appello di Roma il nuovo dibattimento contro il sottufficiale della Marina Militare e funzionario dei servizi segreti Antonio Ciontoli, sua moglie Maria Pezzillo e i figli, Martina e Federico. Marco era fidanzato con Martina ed era a casa loro quando morì dissanguato. La verità sulla sua fine è ancora avvolta nel mistero. In secondo grado Ciontoli, accusato di averlo ucciso, era stato condannato a 5 anni per omicidio colposo. La pena inflitta ai suoi familiari per omissione di soccorso è invece di tre anni. Un verdetto che la Cassazione ha annullato ordinando un nuovo processo.
È l’ultima occasione per arrivare alla verità su quanto accadde quella notte. Una verità che mamma Marina invoca da 5 anni «e senza la quale - ripete - non avrò mai pace». È inevitabile che certi casi non siano mai chiariti o è una pecca grave del sistema? Scriveteci a
La rubrica torna il 25 luglio