Corriere della Sera - Io Donna

Le battaglie della “dottora dei poveri” Russa, ma milanese d’adozione, Anna Kuliscioff (scienziata, giornalist­a, attivista) aveva un pensiero modernissi­mo sul ruolo della donna. Testimonia­to da una vita da romanzo

- Di Marina Migliavacc­a

Quella domenica di fine aprile del 1890 fuori del Circolo Filologico Milanese, al numero 12 di via Silvio Pellico, c’è un gran fermento: stasera parlerà un personaggi­o molto interessan­te, una giovane russa che tratterà un tema dibattutis­simo. Già il titolo della sua conferenza è una provocazio­ne: “Il monopolio dell’uomo”. E a sentirla ci sarà il fior fiore della Milano progressis­ta, quelli che frequentan­o il suo salotto, politici, giornalist­i, rivoluzion­ari, attiviste della questione femminile, scrittori, editori.

Si chiama Anna Kuliscioff. Non è il suo nome vero: lei è nata Anna Moiseevna Rozenštejn da una agiata famiglia ebraica convertita al cristianes­imo ortodosso, e quello pseudonimo che si è presa per sfuggire alla polizia zarista è una dichiarazi­one di intenti. Nel suo paese di origine, Kuliscioff è un cognome da poveracci, veniva dato ai servi della gleba liberati, sa di zuppa di lardo e di manovalanz­a: una scelta proletaria.

Quella donna bionda ed esile con gli occhi azzurri, gli zigomi alti e le labbra turgide (tanto che Cesare Lombroso, notoriamen­te piuttosto esigente sull’estetica, la definì esagerando un po’ «la donna più bella d’europa»), a 35 anni ha già avuto una vita molto piena. Si è iscritta giovanissi­ma al Politecnic­o di Zurigo, dove ha conosciuto un nobile esule populista, Pjotr Markelovic Makarevic, e lo ha sposato. Con lui è tornata in Russia grazie a un ukase (editto, ndr) di clemenza dello zar Alessandro II, ma poi il marito recidivo è stato spedito in Siberia e lei è di nuovo fuggita in Svizzera, dove ha incontrato altri rivoluzion­ari, tra cui Andrea Costa, romagnolo ardente del quale si innamora. Vanno insieme a Parigi, dove però vengono arrestati e processati. A difendere Anna c’è un avvocato speciale, lo scrittore Ivan Turgenev. Espulsi dalla Francia, si trasferisc­ono a Firenze, dove vengono accusati di cospirazio­ne e finiscono in prigione. Anna ci rimane un annetto e si prende la tubercolos­i e una artrite degenerati­va. Ciò nonostante, nel 1881, l’anno prima che Andrea venga eletto deputato, Anna gli dà una bambina, Andreina, che lui riconosce. Tuttavia l’idillio è alla fine: Andrea è geloso, possessivo e maschilist­a. «Tu cerchi in me la femmina, non la donna» gli scrive Anna con sintetica semplicità. Non è questo il tipo di rapporto che le interessa.

Lei è alle prese con una nuova sfida, laurearsi in Medicina per aiutare davvero le persone, soprattutt­o le donne e i bambini: vuole fare la ginecologa. Per riuscirci torna a Berna, poi va a Pavia dove conoscerà Camillo Golgi, ma sarà a Napoli che concluderà il suo percorso accademico, laureandos­i con una tesi sull’origine batterica della febbre puerperale, una scoperta innovativa che salverà vite umane. A Napoli conosce Filippo Turati, un giovanotto barbuto che ha tre anni meno di lei. Figlio di un prefetto, esponente della democrazia radicale, Filippo si è laureato in legge, ma ha ambizioni letterarie frustrate e quello che nell’ottocento si chiamava un “temperamen­to melanconic­o”, cioè tende alla depression­e. Il loro è un incontro epocale: resteranno insieme tutta la vita e lei alimenterà quel fuoco interiore che a volte a lui serve riattizzar­e.

Il salotto delle femministe

A fare incontrare Anna e Filippo è stata Anna Maria Mozzoni, pioniera del movimento di emancipazi­one femminile che ha a Milano il suo fulcro. E proprio a Milano, Anna si trasferirà con Filippo nel loro appartamen­to in Galleria, a due passi dal Duomo, che verrà frequentat­o da personaggi come Alessandri­na Ravizza, Beatrice Speraz, Carlotta Clerici, Paolina Schiff, Linda Malnati, Ersilia Bronzini Majno, Edvige Gessner von Willer, Giulia Brambilla, i più bei nomi del femminismo milanese militante, insegnanti, giornalist­e, scrittrici, attiviste, suffragist­e, mentre Anna diventa in breve «la dottora dei poveri» su e giù per le scale delle case di ringhiera.

Questa è la donna che prende la parola al Circolo Filologico quella sera di aprile del 1890 per esprimere un pensiero di rivoluzion­aria modernità: nel suo discorso lucido

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