Corriere della Sera - Io Donna

Ticchettii

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Niente come questi giorni di inizio della settimana della moda (pare che i colleghi di tutta Europa, vaccinati, mascherati e distanziat­i, non vedano l’ora di tornare a Milano, che a settembre è ancora sole e vacanza, evviva!) mi fa venire voglia di comperare un nuovo paio di scarpe. Sarà simbolico (l’ingresso nella nuova stagione?), sarà che vedere sfilare la moda che verrà ti suggerisce di non sfigurare con quella in corso, sarà che le scarpe non ti ricordano mai se hai qualche anno o qualche chilo in più (apprezziam­o), sarà che siamo italiane, e le sappiamo scegliere, guai pensare siano solo un accessorio.

Ebbene: sarà ancora una stagione tacchi bassi. Abbiamo bisogno di concretezz­a e velocità e non possiamo fare a meno della comodità. Piedi piantati per terra, ma testa alta tra le nuvole, per guardare lontano. Nel dettaglio: le stagioni tacchi bassi si dividono in “anni ballerine” e “anni mocassino”. Gli “anni ballerine” sono leggiadri, gonne ampie e pantaloni a sigaretta, un po’ sognanti, iperfemmin­ili, molto Audrey. Gli “anni mocassino” sono rigorosi, gonne a pieghe e pantaloni ampi, decisi, allure maschile, sempre Hepburn, ma variante Katherine.

Bene: è evidente che siamo in un anno mocassino. Che ci regalerà un passo sportivo, elastico, una bella grinta ma con nonchalanc­e. Il mio ingresso nel mondo delle scarpe si è consumato proprio nel passaggio dalle polacchine stringate dei primi anni Sessanta, rigide e vagamente correttive, al mio primo paio di mocassini, fine anni Sessanta, già swinging London, mini kilt e sciarpone di mohair. E se c’è un capo di cui non mi sono mai liberata è proprio un paio di penny loafer del liceo, con la monetina inglese infilata nella mascherina, che continuo a indossare con allegria.

Quindi: è il momento di andare incontro all’autunno con i nostri mocassini con fibbia, senza fibbia, suola sottile o a carro armato, nero urbano o color bloc, classici o rivisitati, teenager in minigonna e boomer in tailleur, come racconta lo speciale moda di questo numero. Orgogliose di vivere in un Paese che ha il primato di proporli al mondo intero con inesauribi­le maestria e creatività. E dove nessun ministero per la repression­e del vizio si sogna di dettarci leggi anche sulle scarpe da indossare: no alle bianche, perché appariscen­ti e scostumate, no ai tacchetti che con il loro suono indubitabi­lmente femminile possono indurre pensieri licenziosi al talebano di turno.

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