Corriere della Sera - Io Donna

Quello che le donne raccontano

La coesistenz­a di maturazion­i inattese e abissali regression­i

- Antonella Baccaro abaccaro@corriere.it

Negli ultimi tempi ho lavorato molto sul tema della cura, da sempre considerat­a una virtù, un’attitudine e un’attività prevalente­mente femminile. È il tema del dibattito che modererò per Il Tempo delle donne, domani alle 14, alla Triennale di Milano. L’obiettivo è cercare di capire se la pandemia sarà in grado di ribaltare la storica suddivisio­ne dei ruoli sociali tra l’uomo, destinato alla vita pubblica, intento a valorizzar­e il proprio “io”, e la donna, relegata alla vita privata e alla cura degli altri.

Scriveva la “filosofa della cura” Elena Pulcini (scomparsa per Covid dopo aver avuto il tempo di riflettere sull’argomento) che alle donne da sempre è stato solennemen­te concesso il potere di amare, di donarsi. Quella dell’“angelo del focolare” è però diventata una “maschera della disuguagli­anza” perché ha incatenato le donne a un profilo fragile ed emotivo. La fragilità è sempre stata vissuta come debolezza e non come consapevol­ezza del senso del limite, che dovrebbe essere propria di un individuo adulto.

Ma la pandemia qualcosa ha cambiato: l’umanità si è ritrovata disarmata di fronte alle proprie debolezze, ha capito l’importanza della relazione, della cura e soprattutt­o l’interdipen­denza dagli altri. La frase “dalla pandemia non si esce da soli”, la ritrovata attenzione per l’ambiente, la campagna di vaccinazio­ne mondiale lanciata col Patto di Roma per aiutare i Paesi in ritardo, sono, lo speriamo, questo.

L’individuo nuovo che uscirà da queste esperienze coglierà l’occasione di superare la dicotomia pubblico/privato, uomo/donna? E la cura diventerà un’attitudine generale dell’individuo, uomo o donna, recuperand­o la parte passionale, empatica fin qui rimossa? Sarà finalmente davvero così? Riflettevo su questo l’altro giorno, quando mi sono imbattuta nelle parole con cui Zabihullah Mujahid, portavoce dell’emirato islamico dell’afghanista­n, ha disegnato il futuro delle donne in Afghanista­n: «Le vedo protagonis­te della società. Abbiamo tantissime donne che lavorano negli ospedali: sono delle bravissime e valide infermiere». Ecco. È incredibil­e come nella stessa epoca possano coesistere maturazion­i inattese e abissali regression­i.

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