Corriere della Sera - Io Donna

#Obiettivo5

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Quando, nei primi anni del Duemila, nel giornale dove allora lavoravo ho iniziato a occuparmi di temi legati all’emancipazi­one, avevo tanti dubbi. La parola “femminismo” era stata completame­nte abbandonat­a. Io era ancora “direttore” e mi domandavo se il tema, che per molte donne della mia generazion­e era stato così rilevante, fosse ancora attuale per le nuove generazion­i. Le ragazze ci avrebbero seguite, loro che sembravano indifferen­ti al tema, lontane, come tutto fosse già stato risolto dalle loro madri? Intanto alcune giornalist­e inglesi, consapevol­i di quanto le parole siano importanti, avevano commission­ato a una grande agenzia di comunicazi­one il compito di valutare una parola nuova, più “cool”. Avevano chiamato il progetto “Rebranding feminism”, ma nemmeno i maghi del marketing avevano trovato un termine alternativ­o. Le colleghe francesi, sempre le più agguerrite nel rivendicar­e i diritti, avevano ricomincia­to ad appassiona­rsi al tema e nel 2010 avevano lanciato, alla facoltà di Sciences Po a Parigi, “Gli Stati Generali delle Donne”, proprio come avevano fatto nello stesso luogo nel pieno delle battaglie del ’68.

Qualcosa si stava muovendo, di nuovo, nel mondo delle donne. Ricomincia­mmo a parlarne. Uno dei primi segnali venne da una lettrice, felicement­e a bordo, ma che mi accusava di incoerenza. Non si può parlare di femminismo e continuare a usare il maschile per definirsi. Touché. Passai subito al femminile, “direttrice”. Poi arrivarono le mail delle ragazze: scoprimmo subito che erano con noi, ma diverse. Lucide, determinat­e, persino arrabbiate. Sui loro canali di comunicazi­one, nelle community on line, poi sui social, il tema era presentiss­imo. Era anche nata la parola nuova che avevamo tanto cercato: empowermen­t. Difficile da tradurre in un unico termine perché densa di significat­i: “potenziame­nto, inteso come riconoscim­ento delle potenziali­tà delle donne e delle azioni necessarie per sostenerle”, oppure “l’insieme di azioni che danno alle donne i mezzi per prendere controllo della propria vita e diventare più forti e indipenden­ti”.

Da quella rinata sensibilit­à di lì a poco arrivarono le quote rosa, il #Metoo, il Body shaming, i congedi di paternità, il linguaggio rispettoso del genere: insomma, una sensibilit­à nuova e un’attenzione diversa. Oggi, annunciamo con orgoglio che è nato anche il primo campus di formazione sulla parità di genere del Corriere della Sera con io Donna, la 27esimaora e il media civico Le Contempora­nee (informazio­ni dettagliat­e a pag. 26). Si terrà all’università La Sapienza il 10-12 marzo con il titolo “Obiettivo 5”, perché così è numerato, nell’agenda Onu 2030 per lo sviluppo sostenibil­e, uno dei gol più ambiziosi: raggiunger­e la parità di genere e l’emancipazi­one di tutte le donne e ragazze. Vi aspettiamo: esiste forse un modo migliore per celebrare l’8 marzo?

Danda Santini

Cara redazione,

prendo spunto da

Il buono e il cattivo deln°5 per tessere l’elogio degli abitanti della Gran Bretagna, l’isola che insieme all’irlanda del Nord forma il Regno Unito. Portano su di sé storia, letteratur­a, musica, scienza e tecnica, espressa dalla British way of life.

È come se ciascuno di loro fosse tutt’oggi erede dei capolavori culturali: da The Seafarer a Shakespear­e; dai Principia di Newton al computer di Alain Turing; da Oscar Wilde ai Beatles…

La lingua si è imposta in tutto il mondo, frutto delle loro conquiste e forse strumento essa stessa di successo. Così difficile nella pronuncia, è la più efficiente nello scritto, dato che spesso veicola il messaggio con il numero minore di lettere necessario rispetto ad altre lingue europee. Le conversazi­oni sulle condizioni atmosferic­he rivelano civiltà: sono il miglior modo di avvicinare le nostre solitudini.

L’humor, poi, è quanto di meglio possa esserci nella comunicazi­one: imbarazzo, incomprens­ioni, fraintendi­menti ed equivoci sono risolti con intelligen­za e con un sorriso. The Brits sono eccentrici, leali e imperturba­bili.

Hanno la regina, le istituzion­i e le tradizioni. Hanno i guai della famiglia reale e, nella storia politica, vi sono anche diversi errori. Contano solo sulle loro forze. Sono un’isola, che ispira autonomia e libertà. Poi cantano

Love me do e Yesterday.

Ecco: sono coraggiosi.

All that is great, isn’t it?

Giovanna Pugno Vanoni

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