Corriere della Sera - Io Donna
Ogni giorno che passa
rrivavano già le prime notizie inquietanti, e a me, designata custode delle memorie di famiglia, venivano recapitati quattro quadernetti dall’aria vissuta. Li conoscevo bene: papà ce li mostrava quando eravamo piccoli, attento che non li impiastricciassimo. Sono i diari di guerra del tenente Santi Santini, di Montalcino provincia di Siena, 2° Reggimento di artiglieria, mio nonno. Iniziano nel dicembre 1915, quando, dopo un corso estivo di tre mesi, viene mandato al fronte, e si concludono con l’ultimo taccuino, dove in copertina campeggia baldanzosa la scritta “1918 - Vittoria. Gloria. Amore”.
In mezzo ci sono, descritte con calligrafia minuta, le trincee nel gelo dell’inverno sulle Dolomiti, gli spostamenti di uomini e armamenti, gli elenchi di munizioni e compagni, la ricerca angosciante di cibo, la noia dell’attesa, la visita del re in ospedale (“Si congedò dicendomi: Bravo, ha fatto il suo dovere”), il caos della disfatta: il 24 ottobre del 1917 il nonno era, con la sua batteria, sul monte Veliki, dove stava per iniziare lo sfondamento delle nostre linee a Caporetto.
I pensieri di un ragazzo al fronte, oggi affidati a una videochiamata, sono tutti lì: la responsabilità, la famiglia, l’amore vagheggiato per Amelia, “madrina di guerra”, che il nonno aveva appena conosciuto, ma a cui non aveva avuto il coraggio di dichiararsi. Dal primo diario: “Nevica tutta la mattina, è stata una tormenta d’inferno. Mi giunge l’ordine che presto ci sarà un’azione. Mi giunge pure una cartolina dalla signorina vista a Siena durante la mia licenza, e già… l’amo. Nessun colpo”. In marcia: “Durante quel faticoso viaggio pensai a te, Amelia, che priva di mie notizie dovevi soffrire”. Dopo la disfatta: “Fu questo uno di quei giorni che mai dimenticherò per le molte e svariate emozioni. Anche in questo giorno Amelia mi salvò, direi quasi mi rapì dalle mani dei tedeschi”. Alla fine, dopo l’annuncio dell’armistizio: “La guerra è finita. Lode a Dio. L’altra felicità grande me l’ha resa oggi la lettera di Amelia. Amelia cara, potrò finalmente riabbracciarti”.
Si congedò nel 1919. Si sposò nel 1921 a Siena. Con Amelia, mia nonna. A lei è indirizzata la cartolina ingiallita infilata tra le pagine dell’ultimo taccuino. La data si legge con chiarezza: 4 novembre. Il testo è telegrafico, senza enfasi, come sussurrato con tono incredulo da un soldato stremato: “sono salvo”. Nessuna retorica: solo, dopo tre anni, la certezza di essere sopravvissuto. Scampando, un giorno dopo l’altro, pericoli, proiettili, incidenti, bombe, agguati, infezioni. Interrogandosi ogni giorno sulla vita perduta e il senso di tanta distruzione. E io non posso non pensare che, oggi come ieri, ogni giorno che ci separa dalla pace sono un numero incalcolabile di cartoline di salvezza in meno. Che siamo tutti figli e nipoti di qualcuno che, sfinito e disilluso, ha potuto dire quelle due semplici parole: “sono salvo”.
A
Gentile direttrice,
condivido completamente i contenuti del suo editoriale del n° 12, in cui tratta del paradosso del lavoro delle donne. La forza lavoro femminile è in Italia la prima vittima delle crisi occupazionali, benché, dati alla mano, avere donne al timone e in abbondanza negli organigrammi delle imprese assicuri margini di guadagno maggiori e maggiore stabilità. Cosa possiamo fare, visto che anche a lei
“Qualcosa non quadra?”.
Carla Clementina
Manzoni
Cara Clara,
con io Donna teniamo alta l ’attenzione e cerchiamo di seguire tutte le evoluzioni: la certificazione di parità di genere, appena introdotta dalla ministra delle Pari Opportunità Elena Bonetti, sarà un passaggio importante. Permette infatti di misurare, al di là delle belle parole e delle buone intenzioni, quanto un’azienda sia davvero aperta alle donne e in grado di offrire loro pari opportunità.
Purtroppo la realtà italiana è indietro: poche donne lavorano, molti uomini non conoscono il tema e le implicazioni positive per le aziende. Ma ho la sensazione che le nuove generazioni su questo siano più aperte e paritarie.
Per tornare alla sua domanda, che cosa possiamo fare. Individualmente possiamo sensibilizzare chi non conosce il tema. Professionalmente possiamo sostenere le colleghe. Politicamente scegliere le politiche sensibili al tema.
Ma possiamo spingerci più in là: ad esempio capire che cosa può fare la propria azienda come impegno concreto sul tema. La certificazione di parità di genere, che è punto importante del Pnrr, assicurerà dei vantaggi alle aziende che si certificheranno. Ne parleremo a breve, perché confidiamo possa essere uno strumento davvero utile.
Danda Santini
Cara direttrice,
prendo spunto dalla rubrica La gatta e la rieducazione alla felicità di Barbara Stefanelli, sul n° 13, per scrivere della “rieducazione” al confronto.
Parlo di tutti noi che, finita l’emergenza, ci ritroviamo gomito a gomito in uffici a ranghi sempre più rimpolpati, siamo passeggeri di bus o di treni di nuovo affollatissimi, clienti di ristoranti al limite della capienza.
E ci sentiamo costantemente sotto pressione: ora da chi interpreta le superstiti regole anti Covid con una sensibilità diversa dalla nostra, ora da chi semplicemente ci costringe a incontri nuovamente troppo ravvicinati.
L’intera gamma delle occasioni di conflitto, dalla più futile a quella di chi infrange platealmente le regole sanitarie, ci mette forzatamente in gioco. Sono situazioni che innervosiscono e che ancor meno sembrano tollerabili quando si è perso l’allenamento a farlo, come è accaduto in questi anni.
In attesa di un “esperto comportamentista” che aiuti anche noi umani, come le gattine della signora Stefanelli, a portare ordine nel caos della ritrovata piena convivenza, attrezziamoci ad affrontare la sfida...
Anna
Gentile direttrice,
vorrei far conoscere alle sue lettrici un’iniziativa che unisce attenzione all’ambiente e alla solidarietà, due temi che mi sembrano cari a io Donna.
Vorrei parlarle infatti della Onlus Gomitolorosa che da dieci anni recupera la lana italiana.
Valutata come meno pregiata di altri prodotti internazionali, non è più considerata una ricchezza ma classificata dalla legge come “rifiuto speciale”: è un milione di chili quello che viene smaltito ogni anno, con alti costi economici e ambientali.
Gomitolorosa, invece, ne reintroduce una parte in un circuito di uso solidale. E insegna la “lanaterapia” alle donne malate di cancro: il lavoro a maglia con ferri e uncinetti viene proposto e promosso negli ospedali italiani come strumento per distrarre la mente delle pazienti, durante la chemioterapia e nelle sale d’attesa.
Altri gomitoli sono donati a 1500 persone che fanno volontariato e amano sferruzzare
(o fare “knitting”, come si dice oggi) e ad altre
Onlus per sostenere i loro progetti di ricerca.
E siccome è ad aprile che si tosano le pecore, concludo segnalando che Gomitolorosa promuove il 9 aprile una giornata di studio dedicata alla lana. Tutte le nostre iniziative sono sul sito gomitolorosa.org Patrizia Maggia, presidente Agenzia Lane d ’Italia e del comitato tecnico scientifico di Gomitolo Rosa