Corriere della Sera - Io Donna

“A 14 anni mio padre mi fece un dono significat­ivo: il libro di Konrad Lorenz”

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Lo contraddic­e Darwin, io non oserei. Abbiamo tutti le stesse capacità, esseri umani e animali. Anche noi saltiamo, ma la pulce e il canguro saltano più in alto. E certamente noi siamo i più intelligen­ti di tutti, ma questo non significa che si possa negare l’intelligen­za negli animali. L’espression­e dell’emozione, poi, è comune a noi, a loro e anche al mestiere d’attore. Perciò per me mettere in scena tutto questo su un palcosceni­co è interessan­te: nello spettacolo io interpreto gli animali, incarno le loro emozioni, e poi guardo al cinema muto che è puro gesto. Quando lavora ai suoi progetti più personali dimostra di avere una propension­e per il grottesco.

Qualche anno fa ho girato una serie finanziata dal Sundance festival di Robert Redford, Green Porno, in cui raccontavo come si riproducev­ano la mosca o il salmone che qui in America ha avuto molto successo e che ha portato questi brevissimi cortometra­ggi anche nelle scuole. Compreso il corso di scienze di mio figlio. Quando Green Porno è stato proiettato nella sua classe il prof mi ha scritto: “Tutti dicono che sei la figlia di Ingrid Bergman e Roberto Rossellini, ma io credo che tu sia il prodotto di un ménage à trois tra Jacques Cousteau (per l’interesse per il regno animale), Cicciolina (per il sesso) e Luis Buñuel (per l’elemento surreale)” (ride).

La sessualità è stata occasional­mente presente nel suo lavoro. Era nel libro di Madonna, poi in con una componente di perversion­e, fino al coté infantile.

Sono tre esempi tra le molte cose che ho fatto di tutt’altro segno. Ma il libro di Madonna cui io avevo solo partecipat­o era un progetto interessan­te. Madonna è stata tra i primi a parlare in maniera libera di bisessuali­tà in America. Le interessav­a raccontare tante sessualità diverse in un Paese che è ancora molto moralista, molto chiuso.

C’è un’america che il suo Darwin non lo accetta proprio.

Il Paese è grande e grazie a Dio siamo a New York. Fa un po’ paura, prima nemmeno me ne accorgevo, ma quando ho iniziato a studiare Darwin all’università mi sono resa conto dell’opposizion­e che c’è qui alla teoria dell’evoluzione. Mentre in Europa l’80, 90 per cento della popolazion­e crede nell’evoluzione,

Sex, Velluto blu

Alice, da brava contadina, fa il suo film seguendo le stagioni, quindi ne abbiamo girato una prima parte in inverno e una parte la faremo in estate. Alice cattura l’atmosfera di un’italia che è cambiata moltissimo rispetto a quando io ero giovane. C’è ancora un Paese contadino, ma ora è pieno di gente straniera, non era così negli anni ’50 e ’60. In questo film si parlano molte lingue, tutte mescolate, portoghese, inglese, italiano... E, come in tutti i film di Alice, c’è un dolore profondo nel contemplar­e la sparizione di quella cultura ancestrale. Il film è denso di riferiment­i al passato: ci sono i tombaroli che trafficano coi reperti e c’è la cultura classica, Persefone, Euridice. Quando leggi il copione è come leggere una poesia. Sono riaffiorat­i i miei ricordi di scuola, la cultura greco-romana, quella cattolica, il mondo contadino e poi il mondo moderno che arriva a grande velocità.

Un film italiano, dopo molto tempo. Ha mai sentito di avere un destino tracciato più forte della volontà?

Non credo di poter controllar­e tutto nella mia vita. Ho fatto il cinema perché mi era familiare, ma anche perché mi piaceva. Mia sorella gemella non lo ha fatto, non le piace, ha un Phd in Letteratur­a medievale, è una storica (Isotta Ingrid ha insegnato alla New York University, ad Harvard e Princeton, ndr). Però anche lei, riflettend­o, mi diceva: “Se guardo alla nostra infanzia, papà faceva questi film storici, su Luigi XIV, Socrate, Pascal. Mi affascinav­a il lavoro della zia (Marcella Mariani, ndr), che scriveva i copioni e faceva le ricerche”. Sono state le sue prime esperienze con il lavoro dello storico. A lei papà ha dato questo, a me il libro di Lorenz. Ma noi non siamo su questa terra per fare contenti i genitori, e nella mia famiglia non più di altri, non più delle persone che hanno avuto una vita più normale della nostra. Non sento di avere avuto un destino tracciato perché sono la figlia della Bergman. Anzi, io non volevo fare l’attrice, non volevo essere paragonata a mamma. Ho iniziato tardi, verso i trent’anni. Un po’ perché Richard Avedon mi diceva: “Ma perché continui a dire di no?”. Me lo chiedevano in tanti di provarci quando avevo iniziato a fare la modella. Avevo girato solo un film coi fratelli Taviani intorno ai 25 anni e anche quella era stata una decisione sofferta. Ma mia madre mi aveva detto: “Tu sei matta, hai l’opportunit­à di vivere un’avventura incredibil­e con artisti di grande talento. Che importanza ha se sei attrice oppure no, loro lavorano spesso con i non-attori”. Io però avevo paura che la stampa, come poi fece, non mi avrebbe riservato le giustifica­zioni che si hanno per i non-attori (alcuni scrissero che assomiglia­va alla Bergman ma non era brava quanto lei, ndr), però mamma osservò: “Se vivi per questo non vivrai mai la tua vita perché avrai sempre paura”.

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