Corriere della Sera - Io Donna

La solitudine è una fame blu

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Un’italiana fuggita in Cina dopo la morte del gemello e una ragazza enigmatica e bellissima che la trascina in una Shanghai di fabbriche dismesse e di una modernità ipnotica. La ricerca dell’amore diventa un percorso dentro se stessi

Viola Di Grado, l’autrice catanese balzata dieci anni fa, a soli 23 anni, all’attenzione internazio­nale con Settanta acrilico trenta lana, ha mantenuto nel tempo due fedeltà: lo stile gotico dell’immagine e dell’immaginari­o, e la passione per l’oriente come sorgente di un linguaggio visivo che dialoga direttamen­te con le viscere di chi legge. Il nuovo romanzo, Fame blu (La nave di Teseo), non le disattende, e ne fa la struttura portante di una storia di perdita e d’amore, dove la passione crea buchi più che sfamare, fino al ritorno a sé. Protagonis­te sono un’italiana fuggita in Cina dopo la morte del gemello e una ragazza enigmatica e bellissima che la trascina oltre i tabù erotici, in una Shanghai di fabbriche dismesse e di una modernità ipnotica. Iniziamo dai pilastri. Come mai questa fedeltà all’oriente?

Il mio modo di scrivere è molto influenzat­o dall’avere studiato cinese e giapponese, lingue che usano gli ideogrammi. Questo, infatti, mi ha fatto riflettere molto sul linguaggio che lì è fatto di immagini, non di suoni. Tengo molto a una scrittura visiva. La scrittura è l’arte meno diretta, allora cerco di sbucciare il linguaggio fino alle costole, fino alla sua essenza.

E su questa costante sboccia ogni volta una storia nuova, questa com’è nata?

Ho iniziato a scriverla quando ero a Shanghai nel 2019, pre pandemia. L’episodio che l’ha ispirata è stato un incontro avvenuto durante una conferenza che tenevo lì, all’università, sulla letteratur­a italiana. A un certo punto sono andata in bagno e all’uscita mi aspettava una ragazza bellissima: mi ha accolto dicendomi che era una mia fan, che mi amava e che voleva il mio numero di telefono. Normalment­e non lo avrei dato, ma in questo caso lo feci per la straordina­rietà della situazione. L’ho sentita nei giorni successivi e le ho chiesto di portarmi in un mattatoio dismesso anni ’30, un luogo molto affascinan­te dove i giovani vanno a fotografar­si e i vecchi a cercare contatto con giovani ragazze. Lei arrivò molto provocante, si fece fotografar­e, la fotografai anche io. Questa è stata l’esperienza che ha generato la storia.

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